E’ rimasto l’unico orizzonte di cui i governi europei riescono a parlare. Una ostinata follia che, con la proposta di riconoscere uno stato palestinese che non c’è, diverrà una nuova bandiera dell’ipocrisia omicida nelle mani di Hamas e dei suoi mandanti
Due popoli, due stati. E’ da sperare che al momento in cui leggete sia in atto una tregua a Gaza. Fosse così, sarebbe per merito esclusivo della pressione militare israeliana e della diplomazia americana, un pezzettino di pace attraverso la forza. Spiace per Macron, per Sánchez e per altri statisti europei, per non dire dell’Onu, ma questo eventuale risultato, se e quando ci si arrivi, non è il prodotto del loro pigro, sonnacchioso mantra, due popoli due stati.
Cacciare Hamas dal territorio in cui ha costruito la sua fortezza del terrore, liberare ostaggi vivi e morti, alleviare le sofferenze degli abitanti della Striscia, colpiti da una guerra spietata in risposta all’atrocità di un pogrom e all’impossibilità esistenziale per un paese e un popolo di tollerare ciò che lo ha reso possibile, quasi due decenni di dittatura del fanatismo islamista e nichilista ai suoi confini meridionali, e diversi fronti minacciosi a nord e nella carta geografica del medio oriente (Iran, Assad, houthi), è cosa che non si realizza con i paternoster.
L’umanitarismo è la proiezione esemplare e benintenzionata delle coscienze, si lega ai tormenti indicibili e ai tragici lutti di una guerra tremenda, tra le case e la gente, le donne i vecchi e i bambini, ma i suoi scopi si realizzano, se e quando si realizzano, con i mezzi della politica.
Le radici del mantra ormai afono le conosciamo tutti. La risoluzione delle Nazioni Unite del novembre 1947 fu un piano di spartizione della Palestina in due stati per due popoli. Seguì il rifiuto arabo, seguirono le guerre, tante e tutte vinte da Israele, costretto a incrudelire e indurirsi nella difesa del suo diritto a esistere, seguì la via del terrorismo cosiddetto laico dell’Olp, seguirono i dirottamenti aerei, le stragi di ebrei come a Monaco, e all’indomani dell’ennesima guerra di difesa israeliana, grazie sempre a pressione militare e diplomazia americana, quella di Henry Kissinger, si arrivò all’unico trattato durevole di reciproco riconoscimento e di pace tra nemici che fu l’accordo di Camp David tra Begin e Sadat, comprendente il Regno Hascemita di Giordania. Poi Oslo, ancora un tentativo di due popoli e due stati, boicottato sul più bello da Arafat e dall’Olp, fino alla consumazione, all’esaurimento fino alla feccia, del vino odoroso di una pace equanime e binazionale. Nel frattempo Israele è cambiato e ha scelto il Likud e una destra composita per il governo, ha spinto per la colonizzazione nell’ambito di una occupazione di territori che era una garanzia militare e civile capace di rendere teoricamente intoccabile il paese di fronte alla minaccia persistente di guerra e alla strategia dell’Intifada, anche perché l’islamismo jihadista si è insediato in Cisgiordania e a Gaza, la variante iraniana si è affacciata sul proscenio da lontano e per la via libanese degli Hezbollah, in un assetto prenucleare e con espliciti obiettivi di annientamento dell’entità sionista. In tutto questo tempo, dal novembre del 1947, i governi europei, anche quando si sono comportati da alleati di Israele, hanno tenuto ferma una prospettiva diplomatica e strategica divenuta un miraggio. Sono cambiati i governi a Gerusalemme, sono cambiati i presidenti americani e i primi ministri eletti dalla Knesset, sono cambiate tutte le variabili politiche e umanitarie, è cambiato l’humus del terrorismo, ma il mantra sempre più impotente e vacuo è rimasto l’unico orizzonte di cui i governi europei riescono a parlare. E’ una ostinata follia e insieme una scelta di convenienza che ora, con la proposta di riconoscere uno stato palestinese che non c’è, diverrà una nuova bandiera dell’ipocrisia omicida nelle mani di Hamas e dei suoi mandanti, che non fingono quanto al loro obiettivo, buttare a mare gli ebrei, ma si servono della pigrizia colpevole europea per il loro attivismo del terrore, e oscenamente ringraziano. Possibile che la civiltà diplomatica e politica più antica ed esperta del mondo non sia in grado di andare oltre un mantra languente e inventarsi e proporre soluzioni provvisorie ma realistiche?