Trovare una casa accessibile in Italia è una missione impossibile

Negli ultimi quindici anni l’accesso all’abitare è diventato un privilegio. I salari ristagnano e le città si svuotano di residenti, mentre la rendita immobiliare cresce, alimentata da politiche che premiano chi ha già. Ma senza un tetto non si studia, non si lavora, non si vive. Serve un cambio di rotta

Trovare una casa accessibile in Italia è diventata una missione impossibile per chi non ne possiede già una. Risultato di precise scelte politiche ed economiche che hanno trasformato la casa in un privilegio. Dal 2008, mentre i nostri stipendi ristagnano o addirittura diminuiscono (l’Italia è l’unico paese europeo dove le retribuzioni reali nel 2023 sono inferiori a quelle del 2013), i costi abitativi sono schizzati alle stelle. La forbice tra salari e costi abitativi che si allarga sempre più: se i nostri genitori potevano permettersi di comprare casa con un salario medio, oggi non è più possibile. Oggi, contrariamente ad alcuni decenni fa, avere una casa è diventato un pre-requisito per trovare un lavoro: senza una casa, in città come Roma, Bologna e Milano, è impossibile studiare da fuorisede, laurearsi, trovare un lavoro.

Il motivo non è solo l’inflazione. E’ soprattutto l’esplosione della rendita immobiliare: il valore del suolo urbano è aumentato vertiginosamente, e ha fatto lievitare i prezzi delle case. La casa è diventata un investimento finanziario, non un luogo dove vivere. La speculazione immobiliare, fino a poco tempo considerata socialmente inaccettabile, è diventata il perno dell’economia urbana.

I dati raccontano una storia inequivocabile: nel 2023, il 60 per cento degli acquisti immobiliari è avvenuto senza un mutuo. Contemporaneamente, l’acquisto di prime case è calato dell’11 per cento, mentre il mercato delle seconde case è rimasto stabile. Tradotto: chi è già ricco e possiede immobili ne acquista altri come investimento, mentre chi cerca una prima casa è sempre più escluso. Questo modello economico, che si basa non più sulla produzione e la vendita di beni di consumo, ma sull’estrazione di ricchezza dall’esistente, per esempio dalle case e dalle città in generale attraverso il turismo, non impatta tutti allo stesso modo: alcuni, pochi, che posseggono terreni e immobili in luoghi attrattivi, si arricchiscono molto, mentre moltissimi si impoveriscono perché la vita diventa più costosa e i beni e i servizi pubblici scompaiono, privatizzati e messi in vendita. Questa disuguaglianza sta ridisegnando le nostre città: i centri si svuotano di residenti per riempirsi di turisti e investitori, costringendo i lavoratori a spostarsi e a percorrere distanze sempre maggiori per recarsi al lavoro, con costi economici e ambientali enormi scaricati sulla collettività. L’estrazione di rendita da parte di chi compra pezzi di città per guadagnare dall’aumento dei costi abitativi sta cacciando proprio i lavoratori essenziali che mandano avanti l’economia urbana.

Questo processo è promosso attivamente dalla politica italiana, che per decenni ha puntato quasi esclusivamente sul sostegno alla proprietà privata come strumento di consenso elettorale. Ma questo modello favorisce chi ha di più e aumenta le disuguaglianze. Parallelamente, l’edilizia residenziale pubblica è stata smantellata e il patrimonio pubblico svenduto.

E’ ora di cambiare rotta. Abbiamo bisogno di politiche per l’affitto sociale, non solo incentivi all’acquisto che favoriscono chi ha già capitali. Bisogna interrompere i piani di vendita del patrimonio pubblico e tornare a investire in edilizia residenziale pubblica, regolamentare gli affitti brevi turistici e mettere un tetto all’aumento degli affitti, se vogliamo che le città continuino a essere abitate da giovani, studenti e lavoratori. Si può fare: molte città nel resto d’Europa stanno attuando queste misure. La casa non può continuare a essere un bene di lusso o uno strumento di estrazione di rendita. Senza casa non c’è futuro.

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