Umore improvviso, messaggi criptici, esultanze solitarie al 94’. Il fantacalcio non è solo un gioco: è un campionato parallelo che trasforma milioni di italiani in allenatori, diplomatici e visionari. E quando si vince, lo sanno tutti. Anche chi ha perso
E’ successo anche a te. Una persona vicina – collega, partner, fratello, sorella, amico del calcetto – ha cambiato umore in modo improvviso e inspiegabile. Era sereno e poi si è rabbuiato. Era in down da giorni e poi ha scritto in un gruppo WhatsApp solo: “MIRANCHUK ASSIST”. Nessuno ha capito. Tu hai fatto finta di niente, ma ora tutto torna. Stavi sbagliando pista: non era la sua squadra del cuore. Era il fantacalcio.
Non si tratta di una nicchia. Dalla Lega Serie A – che da tre anni ha adottato Fantacalcio.it come app ufficiale – arriva un numero clamoroso: 5,4 milioni di fantallenatori attivi e una media di 500 mila utenti connessi live sull’app durante ogni giornata di campionato. Altro che i dati Auditel. Questo è un fenomeno sociale, culturale e neurologico. E anche un po’ legale, perché in alcuni gruppi ci sono codici interni più rigidi della legge Severino. Ma perché il fantacalcio genera tutte queste emozioni? Perché è un campionato nel campionato, una Serie A parallela in cui tutto si rimescola. Non tifi più solo per la tua squadra, tifi (e bestemmi) per i tuoi 11. E ogni decisione pesa come un Consiglio dei ministri.
Facciamo qualche esempio dalla stagione appena conclusa. Prendiamo il caso del calciatore X, partito a razzo con sei gol in dieci giornate, poi improvvisamente evaporato – rovinando le rotazioni di metà Serie A fantacalcistica. O del calciatore Y, sottovalutato a settembre e diventato un dio nella finale di Europa League: chi lo aveva tenuto nonostante tutto si è ritrovato con un +6 alla penultima giornata, come fosse Natale. O ancora il caso doloroso di Dybala, passato da jolly a incognita: non sapere mai se avrebbe giocato ha mandato ai pazzi migliaia di fantallenatori, spesso colpiti alle spalle all’ultimo minuto da una “gestione precauzionale”. E poi le sorprese. Il giocatore per il quale segnare era diventato un atto poetico. L’attaccante con il nome impronunciabile goleador dell’ultima parte di stagione. Il González di Italiano che segnava solo quando nessuno lo metteva. E sopra tutti, il candidato capocannoniere fino ad aprile e poi misteriosamente sparito.
Ma il vero inferno, e insieme il paradiso, è la gestione umana. Le partite viste solo per monitorare i 6,5 in pagella. I telefoni pieni di screenshot di ammonizioni e bonus. Le cene saltate per aspettare il posticipo del lunedì. I silenzi radio che seguono uno 0-1 subito da un portiere che ha fatto sette parate ma ha preso gol da un centrocampista che non sapevi neppure che esistesse. O le gioie profonde, sincere, esplosive, per un +1 di Calhanoglu al 94’, che ti porta a vincere 70 a 69,5. Solo in quel mondo mezzo reale e mezzo onirico può succedere che uno juventino speri in un rigore sbagliato da Vlahovic. O un romanista esulti per la rete decisiva di Pedro. Il fantacalcio piace perché fa sentire protagonisti. Ma piace anche perché è una vendetta dolce contro l’arroganza del calcio vero: lì decidono gli allenatori, i dirigenti, le proprietà. Qui decidi tu. Qui puoi costruire un impero con Soulé e Nico Gonzalez, o perdere tutto per aver puntato su Orsolini. Qui puoi sentirti Klopp, ma anche Giulio Andreotti, perché le alleanze tra presidenti di lega, i regolamenti modificati in corso d’opera, le proteste e i ricorsi per un voto errato della Gazzetta fanno impallidire il Parlamento.
E poi, diciamolo: si gioca per vincere. Si gioca per una cena pagata, per una coppa di cartone, per l’onore. Ma anche per scrivere, in eterno, “campione 2025” nel gruppo Telegram. Per non essere mai più chiamato “quello che prende Nzola al terzo giro”. Per dire, con tono vago e noncurante, “mah, mi è andata bene”, mentre in realtà ti sei riguardato 36 volte il gol annullato a Pinamonti che ha permesso al tuo avversario di perdere. E così, mentre tutti si concentravano su Inter, Milan, Juve, Roma, e sulla lotta salvezza o sul Var, qualcuno ha vinto davvero. Una vittoria di cui si è parlato poco. Una vittoria silenziosa, ma decisiva. Una coppa, dicono, sarebbe finita su una scrivania importante, in una redazione romana molto letta e molto citata. Una coppa meritata, costruita con pazienza, con scambi geniali, e con qualche aiuto da parte del destino (e di Cambiaso). Una coppa alzata alla penultima giornata. Il tipo di trionfo che si racconta poco, per non infastidire nessuno. Ma che chi c’era non dimenticherà mai. Anche perché, la verità è che chi vince al fantacalcio lo dice. Lo dice sempre. Lo dice con lo sguardo. E chi perde, lo sa. Ci rivediamo all’asta.