Bisogna smetterla di autocommiserarci come paese, e metterci d’accordo su alcuni fondamentali che dovrebbero rallegrare non solo chi si trova al governo ma anche chi si trova all’opposizione. Spunti dal manifesto anti lagna di Fabio Panetta, governatore di Bankitalia
Le considerazioni finali del governatore di Bankitalia, oltre a essere sempre preziose, ricche di dati, di spunti, di istantanee non retoriche sulla nostra contemporaneità, si presentano all’occhio dell’osservatore come un libro dei sogni, da cui ognuno può trarre ciò che desidera, interpretandolo a proprio piacimento. Anche quest’anno, nella lunga relazione di Fabio Panetta, ci sarebbero elementi utili per ragionare sull’universo mondo, su tutto tranne che sulle banche verrebbe da dire, unico tema su cui Panetta è stato comprensibilmente prudente visti i movimenti impazziti del risiko finanziario italiano. Ma l’elemento forse più suggestivo da isolare è uno e riguarda il tentativo generoso ed efficace del governatore di Bankitalia di offrire elementi utili per combattere uno dei virus insieme politico, economico e culturale più pericolosi del nostro paese: la retorica della lagna. Nella sua invettiva ovattata contro la retorica della lagna, Panetta affronta due questioni importanti.
La prima questione riguarda la necessità di smetterla di autocommiserarci, come paese, e di metterci d’accordo su alcuni fondamentali che dovrebbero rallegrare non solo chi si trova al governo ma anche chi si trova all’opposizione. E dunque, dice Panetta, non è vero che in Italia va tutto male, usciamo fuori dalla retorica del piagnisteo, riconosciamo ciò che funziona e ripartiamo da lì, e proviamo una volta per tutte a metterli insieme i veri elementi positivi del nostro paese. Partiamo? Eccoci. Il pil italiano, tra il 2020 e il 2024, è cresciuto più della media dell’Eurozona: lo sapevate? Probabilmente no. Nello stesso arco temporale, il Mezzogiorno è cresciuto più della media nazionale. Negli ultimi dieci anni, le imprese italiane sono riuscite a essere meno indebitate e sono diventate più redditizie rispetto a dieci anni fa. Dopo sei anni, dal 2019, l’Italia ha ottenuto il suo primo avanzo primario. Il sistema bancario italiano oggi è più solido della media europea, con un buon rapporto tra capitale e rischio, e questo aumenta la fiducia di chi vuole investire in Italia: lo sapevate? Probabilmente no.
La seconda parte del manifesto anti lagna di Panetta riguarda un elemento persino più importante rispetto a quello da cui siamo partiti. Conoscere cosa funziona nel nostro paese è fondamentale per provare a migliorarlo, vero, ma conoscere cosa può fare il nostro paese per migliorare se stesso senza dover necessariamente aspettare che sia qualcun altro ad aiutarci a crescere, a progredire, a prosperare, dovrebbe essere altrettanto prioritario. Panetta, nella sua relazione, ha parlato di quanto possano essere pericolosi i dazi per il commercio internazionale, per la crescita mondiale, per la prosperità europea, e anche italiana, e ha spiegato con parole chiare quanto sia importante avere un’Europa più forte, più integrata, maggiormente in grado, come suggerito da Mario Draghi nel suo documento sulla competitività europea, di essere all’altezza delle sfide della contemporaneità, occupandosi dei dazi interni prima ancora che di quelli esterni (per capirci: i dazi americani sulle importazioni europee, al 25 per cento, ridurrebbero il pil dell’Ue tra lo 0,3 e lo 0,5 per cento, gli autodazi europei pesano dieci volte tanto). Nel manifesto anti lagna però Panetta inserisce un elemento ulteriore di riflessione che merita di essere valorizzato. Sintesi: chi aspetta l’Europa per ogni cosa, perde tempo. Svolgimento: l’Italia, per crescere, per competere, per migliorare la sua condizione, per rafforzare la sua crescita, per rendere più dignitosi i salari non deve aspettare che vi sia una qualche svolta dall’alto.
Deve guardarsi allo specchio e deve avere il coraggio di affrontare finalmente i propri tabù. In altre parole. Deve avere il coraggio di dire che senza produttività, i salari non crescono. Deve avere il coraggio di ricordare che l’Italia è tra i maggiori beneficiari del Pnrr e se usassimo i fondi con efficienza (oggi ne spendiamo la metà di quelli che riceviamo) saremmo in grado di essere ancora più competitivi – e forse bisognerebbe ricordare più spesso agli anti europeisti che l’Italia è più forte di quello che sembra perché l’Europa è più presente di quello che sembra nella nostra vita politica ed economica. La classe dirigente italiana deve prendere contezza di tutto questo. Ma deve fare anche molto altro. Deve avere finalmente il coraggio di riconoscere che l’Italia ha una ricerca scientifica di qualità pari a Francia e Germania, ma semplicemente spende poco per investirci (la spesa per università è solo l’1 per cento del pil, contro l’1,3 per cento europeo). Deve avere il coraggio di dire che nel 2021 l’Italia ha speso solo l’1,4 per cento del pil in ricerca e sviluppo, la metà rispetto agli Stati Uniti, e meno della media Ue. Deve avere il coraggio di ammettere finalmente che l’Italia ha un problema con i brevetti. Ne registra un quinto rispetto alla Germania e ne produce la metà rispetto alla Francia, è il riflesso di una incapacità a essere innovativa come dovrebbe.
Deve avere il coraggio di dire che, nel silenzio assoluto, l’Italia rischia di perdere 5 milioni di persone in età lavorativa entro il 2040, che solo il 58 per cento delle donne partecipa al mercato del lavoro (tra i tassi più bassi d’Europa) e che è un problema grande così se l’Italia ha la quota più bassa di immigrati laureati tra i grandi paesi dell’Ue. La lezione, in fondo, è semplice. Più innovazione uguale più competitività. Più competitività uguale più produttività. Più produttività uguale più crescita. Più crescita uguale più prosperità, più attrattività e salari migliori. L’America e l’Europa possono fare molto per rendere la vita più facile all’Italia. Ma tutto quello che l’Italia può fare per rendere più facile la vita a se stessa è infinitamente superiore. E dunque, sì. Viva il manifesto anti lagna. L’anti lagna sull’Italia che non vogliamo vedere, ovvero quella che funziona, e sull’Italia su cui non vogliamo scommettere, ovvero quella che fino a quando non scommetterà sull’innovazione, la ricerca, la competitività, il capitale umano continuerà ad alimentare sempre di più la triste cultura del capro espiatorio e sempre di meno la cultura più importante per un paese desideroso di allontanarsi dalla logica del piagnisteo: semplicemente, quello delle soluzioni.