Il leader dei liberali britannici Nick Clegg afferma che poter usare solo immagini autorizzate sarebbe letale per il settore AI. Un conservatore risponde: ha ragione, bisogna essere pragmatici. Un progressista ribatte: no, si chiama rispetto. Ecco il dialogo
Conservatore: Nick Clegg ha detto una cosa sgradevole, ma vera: pretendere il consenso preventivo per usare opere coperte da copyright nell’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale è, semplicemente, impossibile. E renderlo obbligatorio in un solo paese, come il Regno Unito, significa sabotare l’intero settore. Non si tratta di “uccidere” i diritti degli artisti. Si tratta di non uccidere un settore strategico.
Progressista: Lo strategico non può diventare predatorio. Se la condizione di sviluppo dell’AI è che milioni di creativi debbano rinunciare senza sapere a che cosa, senza poter dire no, allora c’è un problema. Il consenso non è un capriccio, è il fondamento di un’economia giusta. Se non lo si può ottenere, è il modello di business a essere sbagliato.
Conservatore: Ma come lo immagini, il consenso? Una casella da spuntare per ogni fotografia pubblicata online? Una mail a ogni giornalista, ogni illustratore, ogni compositore? L’intelligenza artificiale ha bisogno di dati su scala industriale, di miliardi di input. Se ogni dato è un contratto, il sistema collassa. E’ come chiedere alla stampa a caratteri mobili di fermarsi finché ogni autore approva l’uso della sua frase.
Progressista: E’ come dire che la stampa a caratteri mobili ha il diritto di stampare qualsiasi cosa senza pagare. La verità è che il diritto d’autore è stato creato proprio per evitare che il lavoro intellettuale diventasse terra di nessuno. Se l’AI ha bisogno di sfruttare in massa contenuti protetti per funzionare, allora dobbiamo decidere: vogliamo un progresso fondato sulla violazione sistematica della legge?
Conservatore: Ma la legge va interpretata alla luce della realtà. Il web è un ecosistema aperto. Quando pubblico una foto o un articolo, so che diventa parte del flusso informativo. Nessuno ruba: l’AI apprende, non riproduce. Clegg lo ha detto con chiarezza: questi sistemi non copiano, elaborano. Come fa un pittore che si ispira a Van Gogh. Vuoi vietare anche quello?
Progressista: No, voglio che chi si ispira paghi la materia prima. Se l’AI è un pittore, allora è un pittore che accumula miliardi di quadri nel suo studio e poi rivende repliche dello stile al mercato, senza dirlo né chiedere nulla. L’ispirazione è una cosa, il training massivo su dati protetti un’altra. E comunque: almeno, dichiarate quali opere usate. E’ il minimo sindacale.
Conservatore: La trasparenza, certo. Ma il consenso preventivo è un’arma. Perché chi controlla l’accesso ai dati controlla lo sviluppo. E se dai a chiunque il potere di negare, di fatto blocchi la possibilità di costruire modelli competitivi. Lo dico senza cinismo: il diritto all’opt-out è già molto. Pretendere l’opt-in è un modo elegante per dire “fermiamoci tutti”.
Progressista: Allora diciamolo: vogliamo che l’AI cresca senza regole. Come Google vent’anni fa. Salvo poi scoprire che quel “troppo presto” ci ha costretto a rincorrere per decenni. La creatività non è una risorsa gratuita. Vale 120 miliardi per l’economia britannica. E’ legittimo proteggere un’industria strategica dai predatori digitali. E se il progresso non sa convivere con la trasparenza, è il progresso il problema.
Conservatore: Il punto è che gli stessi artisti usano l’AI. E spesso ci guadagnano. I generatori di musica, le app di immagine, i suggeritori di testi: non si può voler bloccare l’addestramento e poi usare l’output. E’ un po’ come voler mangiare la torta e tenersela. L’AI non è un nemico, è uno strumento. E i diritti vanno ridisegnati in funzione di una nuova realtà.
Progressista: Ridisegnarli sì, ignorarli no. Altrimenti la realtà diventa una scusa per togliere potere ai deboli. Qui c’è un’asimmetria gigantesca: da un lato creativi individuali, spesso precari; dall’altro colossi tecnologici con miliardi di euro e server ovunque. Chiedere trasparenza e consenso è un modo per riequilibrare. O vogliamo che chi crea sia sempre il primo sacrificabile?
Conservatore: Sacrificabile no. Ma nemmeno idolatrato. Non possiamo congelare l’innovazione per proteggere l’autore romantico. L’industria creativa deve capire che è finita l’epoca del controllo totale. E’ ora di negoziare, non di pretendere. E soprattutto: di scegliere tra regole perfette e progresso imperfetto. Perché, come dice Clegg, il mondo non aspetta.
Progressista: Appunto: non aspetta. E se non facciamo qualcosa adesso, rischiamo di trovarci tra cinque anni in un mondo dove la creatività è diventata un sottoprodotto, un decoro, un pretesto. Dove i modelli sanno scrivere, ma non c’è più nessuno a insegnargli qualcosa di nuovo. Le regole servono proprio per evitare questo vuoto.
E ora? Il Parlamento britannico ha votato contro l’emendamento Kidron. Ma la battaglia continua. E il dialogo resta aperto. Tra chi vuole salvare l’industria dell’AI e chi vuole salvare il lavoro dell’artista. A volte, le due cose coincidono. Più spesso, si ignorano.