Due madri, un figlio: il diritto sfida la tradizione. Un dibattito senza sconti

Nella querelle sulle famiglie omogenitoriali e la PMA per single, si scontrano due visioni: chi chiede riconoscimento giuridico per nuove forme di genitorialità e chi difende limiti antropologici. La Corte apre, ma non troppo. Un conservatore e un progressista discutono

Progressista: Cominciamo dalla sentenza 68. E’ un segnale di civiltà. La Corte ha finalmente riconosciuto che una madre è tale non solo se partorisce, ma se progetta, accoglie, cresce. L’Italia non può più restare aggrappata a un’idea biologica e formale di genitorialità, mentre la realtà evolve. Non si tratta di ideologia: si tratta del bene del bambino. Ed è proprio questo, mi pare, che la Corte abbia messo al centro. Un figlio ha diritto a essere riconosciuto da entrambe le persone che lo amano e lo crescono, non solo da quella che lo ha partorito.



Conservatore: Eppure è curioso che si invochi il “bene del minore” quando in realtà si sancisce un principio pericoloso: che la genitorialità possa essere definita a posteriori, sulla base dell’intenzione, e non di una struttura riconoscibile. La famiglia, per quanto imperfetta, si fonda sulla complementarità. Due madri non sono la stessa cosa di una madre e un padre. Negarlo significa sostituire un modello antropologico con un costrutto volontaristico. E questo ha un costo, per tutti.



Progressista: Parli di “costo”, ma quale sarebbe? I figli di coppie omogenitoriali crescono sereni, studi alla mano. Le difficoltà semmai derivano dalla mancanza di riconoscimento, non dalla struttura affettiva. E poi, non c’è niente di più naturale che la cura. L’idea che ci sia una “natura” da difendere è un’illusione. La famiglia non è un fossile, è una realtà vivente. E la legge deve prenderne atto.



Conservatore: Il problema non è riconoscere che le famiglie cambiano. Il problema è che qui non si parla di riconoscere il fatto, ma di legittimarlo come principio. Una madre intenzionale non è un dato naturale, è una costruzione giuridica. E se la genitorialità diventa un fatto volontario, allora che cosa la distingue da un contratto? Il bambino diventa il prodotto di una volontà adulta. E questo rovescia l’ordine delle priorità: non è più il figlio al centro, ma il desiderio di chi lo vuole.



Progressista: Quindi le coppie eterosessuali che ricorrono alla PMA sono più legittime perché maschio e femmina? Eppure anche lì si ricorre alla tecnica, alla volontà, alla legge. Perché ciò che è concesso a una coppia etero sposata deve essere negato a due donne, o a una donna sola? E qui arriviamo alla sentenza 69, che trovo deludente: dire che le donne single non possono accedere alla PMA significa dire che non sono in grado di essere madri. E’ un pregiudizio, non una valutazione giuridica.



Conservatore: Non è un pregiudizio, è una responsabilità. Lo stato ha il dovere di non promuovere modelli genitoriali che, per definizione, nascono privi di un genitore. Si può diventare genitori da soli per forza di cose, certo. Ma progettare la genitorialità senza padre – o senza madre – è diverso. Lo stato può tollerare, ma non deve incoraggiare. Non tutto ciò che si può fare, deve essere fatto.



Progressista: Ma che modello è uno stato che vieta qualcosa solo perché non gli somiglia? Le donne che vanno in Spagna per avere un figlio da sole non sono irresponsabili. Lo fanno invece con consapevolezza, affrontando ostacoli enormi, economici e psicologici. E sono già madri. Il divieto in Italia non le protegge: le marginalizza. E marginalizza anche i bambini che nascono così, perché nega loro il diritto alla trasparenza, alla normalità e alla dignità giuridica.



Conservatore: Qui però siamo oltre la giustizia: siamo nel campo della rivendicazione. Si invoca il diritto al figlio, e questo è il nodo. Il figlio non è un diritto. E’ un dono, un mistero, una relazione che non si può pianificare interamente. Ma se lo stato apre alla procreazione single, allora lo riduce a prestazione. E a quel punto, perché non accettare anche la gestazione per altri? O la filiazione per contratto? Le premesse sono le stesse.



Progressista: E allora diciamolo: la tua posizione è più ideologica della mia. Tu difendi un’idea astratta di famiglia e di natura, anche contro l’evidenza. Io invece parto dai fatti. Il fatto che ci sono donne sole che crescono figli benissimo. Che ci sono due madri che fanno da genitori meglio di molti padri e madri biologici. E che lo stato deve garantire uguaglianza di diritti, non tutelare archetipi culturali. Il tuo modello non è universale: è storico. E la storia cambia.



Conservatore: No, io difendo un limite. Il limite che permette alla libertà di non diventare arbitrio. Il diritto non può inseguire ogni desiderio, specie quando produce effetti irreversibili su altri – su chi nasce, su chi cresce. Le famiglie arcobaleno esistono, ma una cosa è prenderne atto, un’altra è trasformarle in regola. Lo stato deve proteggere la differenza, non cancellarla.



Progressista: Ma qui nessuno cancella niente. Si chiede solo che chi vive fuori dai modelli dominanti non sia invisibile o illegittimo. Le due sentenze lo mostrano chiaramente: una Corte che cerca equilibrio, che si apre ma non troppo. Io penso che avrebbe potuto osare di più. Tu forse avresti preferito che osasse di meno. Ma almeno ammetterai che oggi, in Italia, la giurisprudenza è più coraggiosa della politica.



Conservatore: Su questo, paradossalmente, potremmo persino intenderci. E’ la politica che deve decidere. La Corte, con la sentenza 69, lo ricorda: il Parlamento può intervenire. Bene. Allora si apra un dibattito serio, non ideologico, non polarizzato. Ma senza dimenticare una cosa: che i figli, prima di essere nostri, sono altri da noi. E la legge deve proteggerli anche da ciò che desideriamo per loro.



Progressista: E io ti rispondo così: proteggerli sì, ma non contro la realtà. Contro l’ipocrisia. Contro il fatto che una donna in Italia non può fare ciò che può fare in Francia, e che un bambino può avere due genitori amorevoli e vedersi riconoscere solo uno. Se c’è una responsabilità dello stato, oggi, è quella di mettersi finalmente al passo con la vita vera.

Due visioni del mondo, due idee di libertà e di limite. Ma un punto comune: la consapevolezza che il diritto di famiglia non è un territorio neutro. E’ un campo in cui si decide chi siamo e chi vogliamo diventare.

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