Il Potus non perde solo un finanziatore potente, fan scombiccherato ma deciso, e un amico, il first buddy, perde molto più di quello che guadagna, e in questo periodo guadagna parecchio. Grandi storie di pasticci incrociati
L’avventura di Elon Musk, dalla conversione Maga all’addio a Trump e alla palude di Washington, fa capire che l’America è nei pasticci, e ha messo il mondo nei pasticci, ma come diceva di sé il suo grande bardo Walt Whitman, contiene moltitudini, è un mondo di mondi, incubatore di personalità che stordiscono per la loro pirotecnica varietà, grandiose maschere rutilanti. Già è fantastico un presidente che è corrucciato con il capo della Russia perché non gli fa il favore personale di mettere fine alla guerra in Europa, obiettivo che aveva sparato in campagna elettorale impegnandosi a realizzarlo in ventiquattr’ore. Fantastico è un aggettivo che però non sorregge il giudizio sulla storia personale dell’uomo più ricco del mondo fattosi cheerleader del narcisista pazzo, il primo statista che chiede per una cortesia personale la fine di una guerra e si sente preso in giro dal vecchio amico Putin che non gli concede il favore. Musk per ora non ha come si dice sbattuto la porta, e per quanto possano inasprirsi in futuro i termini del divorzio da Trump, pazzesco è stato il matrimonio. Un saggio informato di Matthew Purdy sul New York Times racconta a tutto tondo, scavando in un mondo di idee folli che è quello del futurismo tecnologico, il personaggio che per noi è banalmente l’uomo più ricco del mondo, in soldi e in visione, mentre in realtà è quello che spara razzi per andare su Marte (l’ultimo ha volato poco e maluccio), che collega commerci ed eserciti attraverso i satelliti (Starlink), che vuole computerizzare i cervelli con dei chip sottopelle, che produce auto elettriche robotizzate e a guida automatica, che investe nella robotizzazione futurologica dell’umanità grandi capitali, e che ha chiesto alla sua azienda di essere pagato 53 miliardi di dollari l’anno. Nella moltitudine americana c’è spazio per il micronarcisismo patologico e buffo di un assalitore della democrazia liberale e della funzionalità dei mercati mondiali, il superpopulista che sconvolge il pianeta con le sue erratiche decisioni esecutive.
E per il Paperone sudafricano che abbraccia a modo suo la filosofia longtermist, il futuro come sfida esistenziale alla quale si risponde con l’esperienza multiplanetaria, la concezione di tredici creature con donne diverse, serialmente, per curare la curva demografica discendente, e l’investimento nell’intelligenza artificiale, peraltro denunciata come il rischio dei rischi per la sopravvivenza dell’umanità. La cronaca spicciola dice che Musk se n’è andato perché i suoi business, in specie la Tesla, soffrono della sua assenza e del suo impegno pubblico che divide e intralcia la reputazione commerciale del boss, eppoi tagliare la spesa pubblica e riformare con la motosega l’amministrazione imperiale è difficile, e il big beautiful bill varato dai trumpiani in Congresso è superspendaccione, mentre il suo rivale in AI, Sam Altman, che lui chiama Scam Altman ovvero Altman il Truffatore, è stato favorito da Trump in un megacentrodati ad Abu Dhabi, uno dei grandi investimenti che beneficeranno gli Stati Uniti e la famiglia di Donald Trump. Ma al di là della cronaca corrente e della presunta vittoria del populismo sul futurismo planetario e longtermist, è chiaro che il Potus non perde solo un finanziatore potente, un fan scombiccherato e ingombrante ma deciso, e alla fine forse un amico, il first buddy, perde molto più di quello che guadagna, e in questo periodo guadagna parecchio. L’oligarca infantile e capriccioso, con il suo strano talento immaginifico, era divenuto parte del progetto, che ora è monco. La moltitudine americana potrebbe soffrire di solitudine, almeno nel breve termine (Meloni, nel suo piccolo, se lo segni).