La Corte del Commercio internazionale ha bloccato gran parte dei dazi imposti dal presidente americano, ritenendoli illegittimi. L’Amministrazione ha fatto ricorso, ma la sentenza mina le trattative commerciali globali e le coperture per la sua riforma fiscale
[Aggiornamento 30 maggio] I dazi di Trump per ora restano in vigore. La Corte d’appello americana ha deciso di accogliere il ricorso dell’Amministrazione Trump che chiedeva una pausa della sentenza della Us Court of International Trade, restata valida solo per poche ore.
La guerra commerciale non è finita, ma Donald Trump ha perso un’importante battaglia sul fronte interno. La Corte federale sul commercio internazionale ha deciso di bloccare gran parte dei dazi che il presidente degli Stati Uniti ha imposto eccedendo i propri poteri. Nel frattempo i mercati festeggiano, mentre i governi del resto del mondo restano a guardare l’incertezza che si propaga e che ora coinvolge anche i piani caotici della Casa Bianca.
L’Amministrazione Trump ha già annunciato che farà appello per ribaltare la sentenza, parlando di un “colpo di stato giudiziario fuori controllo”. Ma è difficile credere a una narrazione del genere, in primo luogo perché tra i ricorrenti ci sono giuristi di cultura liberal-libertaria e, soprattutto, perché il collegio di tre giudici – nominati da Reagan, Obama e lo stesso Trump – ha deciso all’unanimità. È probabile che il caso arrivi alla Corte suprema, dove c’è una maggioranza repubblicana, ma non è affatto scontato che i giudici daranno ragione a Trump. Anzi, i precedenti – come scrivono Giacinto della Cananea e Giuseppe Portonera nei due articoli in questa pagina – fanno pensare il contrario.
Ma quali sono i dazi bloccati dalla Corte? Si tratta di due categorie, adottate usando – illegittimamente, secondo la Corte – l’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), una legge del 1977 che conferisce poteri straordinari al Presidente (ma non quello di “imporre dazi illimitati su beni provenienti da quasi tutti i paesi del mondo”, dicono i giudici). Sono le cosiddette reciprocal tariff annunciate da Trump nel Liberation day del 2 aprile, che hanno colpito tutti i paesi del mondo (incluse le isole abitate dai pinguini): questi dazi imponevano un’aliquota aggiuntiva di base del 10 per cento a tutti, e livelli più elevati a decine e decine di altri paesi che però (per questa parte eccedente) Trump aveva sospeso per 90 giorni per negoziare un deal con ogni paese. Rientrano in questa categoria anche i dazi sulla Cina alzati al 145 per cento, che poi Trump aveva ridotto al 30 per cento dopo un accordo con Pechino in attesa di un negoziato definitivo. Gli altri dazi bloccati dalla Corte sono quelli del 25 per cento imposti a Canada e Messico, che Trump aveva giustificato come risposta alle emergenze dell’immigrazione illegale e del traffico di droga; stessa sorte per i dazi aggiuntivi del 20 per cento alla Cina giustificati con il presunto mancato contrasto al fentanyl. Questi dazi rappresentano circa i tre quarti di tutti i dazi imposti da Trump. Restano in vigore, invece, le tariffe su beni specifici come acciaio, alluminio e automobili che Trump ha imposto usando un’altra legge del 1962.
Lo stop è un colpo durissimo a tutta la strategia politica, interna ed esterna di Trump. Sul lato della guerra commerciale, la decisione della Corte di fatto sospende tutte le trattative con i paesi del resto del mondo e indebolisce la posizione negoziale di Trump. Sul piano interno, le conseguenze rischiano di travolgere la riforma fiscale, che ha già tanti problemi a passare al Senato. I tagli delle tasse, infatti, già producono un preoccupante allargamento del deficit di bilancio di circa 4 mila miliardi di dollari in dieci anni, ma con la sospensione dei dazi vengono a mancare anche le entrate tariffarie con cui la squadra di Trump – da Navarro a Lutnick fino a Bessent – pensava di coprire i tagli di tasse in deficit. Anzi, dopo questo giudizio, chiunque abbia pagato i dazi ha ora diritto a essere rimborsato. Al momento tutta la strategia politica di Trump è azzoppata: né Art of the deal né Big beautiful bill. Tutto bloccato, come i suoi dazi.