Sono molti i provvedimenti approvati finora per tentare di fermare questo male, ma ancora non è sufficiente, dice la premier dopo l’uccisione della 14enne di Afragola. Dalla riforma del “codice rosso” alla proposta di un reato di femminicidio, la strada della prevenzione contro la violenza sulle donne è stata la meno battuta
“Martina aveva solo 14 anni. Aveva la vita davanti, i sogni, le amicizie, la scuola. Le è stata tolta con una violenza che lascia senza fiato, uccisa brutalmente da chi diceva di volerle bene”. Lo ha scritto su X la premier Giorgia Meloni a proposito del femminicidio della 14enne Martina Carbonaro, uccisa dal suo ex fidanzato. La premier ha parlato di “un delitto spietato, che colpisce nel profondo ogni genitore, ogni cittadino, ogni essere umano. La sua morte ci sconvolge”. Tanto che, ha proseguito, “ci impone di guardare in faccia un male profondo, che non possiamo né ignorare né normalizzare: la violenza cieca e possessiva che troppo spesso si abbatte sulle donne, anche sulle più giovani”. Sono molti i provvedimenti “che abbiamo approvato finora per tentare di fermare questo male, ma dobbiamo essere consapevoli che le norme non saranno mai sufficienti se non daremo vita ad una profonda svolta culturale e sociale. In questi anni dei passi in avanti sono stati fatti, ma evidentemente non basta. Dobbiamo fare di più, tutti insieme. Per Martina. Per tutte”, ha concluso la premier.
Eppure, sul tema della violenza sulle donne, il governo non ha fatto che ritoccare il codice penale. La riforma approvata dal Parlamento nel novembre 2023, ha modificato la legge originaria sul “codice rosso” del 2019, che aveva introdotto una corsia preferenziale per le denunce e le indagini riguardanti casi di violenza domestica e di genere. Come già spiegato dal Foglio, la più recente rimodulazione ha introdotto una serie di adempimenti (sia procedurali che burocratici), molto gravosi per il funzionamento delle procure, che si sono ritrovate inondate di procedimenti per presunte violenze, atti persecutori e maltrattamenti, tanto da dover istituire gruppi specializzati che in alcuni casi coinvolgono più della metà dei magistrati in servizio presso l’ufficio.
Più che assicurare una tutela più rapida alle vittime di violenza, la riforma è risultata l’ennesimo atto di populismo penale, accompagnato da tante altre misure introdotte dal governo sin dal suo insediamento. Ma un’altra novità bolle già in pentola. Il ddl varato dal Consiglio dei ministri alla vigilia dell’ultima Giornata internazionale della donna, introduce infatti nella legislazione italiana il reato autonomo di femminicidio. Proposta “certamente comprensibile nell’intento di contrastare un fenomeno odioso”, ma che “suscita perplessità, non solo per come viene formulata la nuova fattispecie penale, ma perché sembra collocarsi nell’ambito del crescente utilizzo del diritto penale in chiave simbolica e quasi consumistica che va avanti da troppi anni”, ha commentato su questo giornale il professore Vittorio Manes, docente di Diritto penale all’Università di Bologna. Codice penale alla mano, il reato di omicidio prevede attualmente una pena non inferiore a 21 anni, che però raggiunge l’ergastolo se commesso nei confronti del coniuge, del convivente o della persona con cui si ha una relazione affettiva.
Nel presentare la misura, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha parlato di “svolta epocale”. A ulteriore riprova di quanto il governo reputi la risposta penale (dunque successiva al compimento di un reato) adeguata ed efficace anche per fenomeni complessi come questi.
Tuttavia, non è mancato qualche tentativo di promuovere la prevenzione, più che la punizione. Nel 2023, ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha annunciato un progetto di sensibilizzazione scolastica che si divide in più filoni dal valore di 15 milioni di euro finanziati dal Pon. Il pacchetto di iniziative, chiamato “Educare alle relazioni”, puntava sull’educazione civica in classe, per “far entrare la cultura del rispetto in tutte le aule e in tutti gli insegnamenti, dalla matematica all’italiano, all’inglese, per promuovere un cambiamento della mentalità”, ha spiegato Valditara. Sul fronte extracurriculare, invece, si prevedevano dei gruppi di discussione composti dagli stessi studenti, per esplorare “le tematiche legate al rispetto reciproco e saranno edotti alle conseguenze legali derivanti da comportamenti inappropriati”.
Ad aprile di quest’anno, poi, nelle nuove Linee guida per l’Educazione civica introdotte dal ministero dell’Istruzione, è stato inserita per la prima volta come specifico obiettivo di apprendimento l’educazione al rispetto verso le donne. “Particolare attenzione andrà riservata al contrasto alla violenza contro le donne per educare a relazioni corrette e rispettose al fine, altresì, di promuovere la parità fra uomo e donna e di far conoscere l’importanza della conciliazione fra vita e lavoro”, si legge in una nota ufficiale, in cui si sottolinea come le nuove Linee guida rappresentino uno strumento per “porre fine alla discriminazione e alla violenza contro le donne, sviluppare la cultura del rispetto verso ogni persona, contrastare ogni forma di violenza, bullismo e discriminazione verso qualsiasi essere umano e favorire il superamento di ogni pregiudizio”.