Eredità, filosofia, strategie e discontinuità possibile del nuovo capo del gruppo automobilistico. Con domande
Oggi è a Mirafiori la storica fabbrica della Fiat, ieri a Sochaux l’ancor più vecchia fabbrica Peugeot, domani a Saragozza nella ex Opel che invece continua a dare parecchie soddisfazioni. Antonio Filosa, il nuovo amministratore delegato del gruppo Stellantis, appena votato all’unanimità dal consiglio di amministrazione, debutta di fatto nell’Europa turbolenta dove l’automobile soffre di una crisi tutt’altro che passeggera. Curioso per un uomo che è sì europeo, anzi italiano, ma ha trascorso vent’anni nelle Americhe, prima in Argentina e soprattutto in Brasile, ora negli Stati Uniti in Michigan dove risiede con la moglie e due figli. Napoli, Buenos Aires, San Paolo, Auburn Hills quartier generale della Chrysler, Ostuni, Milano, Torino, la Fiat. Un profilo cosmopolita, un ingegnere che conosce le vetture a quattro ruote in ogni dettaglio, ma un manager che professionalmente nasce e si forma nella Fiat dove è entrato dopo la laurea al Politecnico milanese nel 1999 a soli 26 anni (il suo compleanno è il 26 giugno appena tre giorni dopo la sua entrata ufficiale in servizio). Allora stava già covando una crisi drammatica che di lì a poco, con la morte a un anno di distanza di Gianni e Umberto Agnelli avrebbe portato la Fiat sull’orlo del crac.
E’ Sergio Marchionne a mandarlo in Sud America nel 2005 per curare il primato in Brasile e in Argentina. E lì resta anche con l’acquisizione della Chrysler nel 2009. Nove anni dopo sarà responsabile per l’intera area sudamericana, ruolo che manterrà dopo la fusione con PSA e la nascita di Stellantis. A quel punto gli viene affidato il rilancio della Jeep, unico marchio davvero globale del gruppo, anche se appannato negli anni.
Si può dunque dire che Filosa si sia formato alla scuola di Marchionne, anche se le differenze tra loro sono molto grandi. Sergio veniva da fuori, un americano che tornava in Italia; don Antonio (spagnolismo partenopeo) è un italiano che ha trovato l’America; Marchionne era un umanista “prestato” all’industria; Filosa un tecnico, un uomo di prodotto diventato manager. Tornando indietro nella storia della Fiat potrebbe ricordare Vittorio Ghidella e Paolo Cantarella entrambi ingegneri ai quali si debbono auto di successo come la Uno e la Punto. Il mondo da allora è cambiato più volte e la Fiat per molti versi è solo un ricordo o meglio il marchio italiano più rilevante in una costellazione di ben 14 brand, francesi (Peugeot, Citroën), tedeschi (Opel), nord americani (Chrysler, Jeep, Ram, Dodge), un mosaico non facile da comporre per il quale occorre visione a 360 gradi, fermezza, ma anche duttilità, polso di ferro e sorriso accattivante. “Filosa è l’anti Tavares”, ha scritto Le Figaro. Il manager franco-portoghese sul quale è stata gettata la colpa della crisi di Stellantis ha il merito di aver impedito che andasse in pezzi la più vasta costellazione automobilistica esistente, dove convivono culture industriali, sociali, nazionali diversissime, spesso contraddittorie come quella europea e nordamericana. Ma certo non gli apparteneva la simpatia.
Chi conosce Filosa apprezza la sua comunicatività e l’adattabilità agli ambienti più diversi e difficili che fa parte del modo di essere meridionale. Da giovane ha praticato la pallanuoto che a Napoli è lo sport più amato dopo il calcio. Della sua famiglia non viene fatto trapelare nulla. E’ nato a Castellammare di Stabia il 26 giugno 1973, ma ha vissuto a lungo in Puglia a Ostuni dove ha frequentato il liceo. Adesso il sindaco Angelo Pomes di centrosinistra dice che è “motivo d’ispirazione per i nostri ragazzi”. In un video girato durante una visita a uno stabilimento brasiliano, anche facendo la tara alla propaganda aziendale, colpisce la espansività anche fisica di Filosa, tra abbracci calorosi, risate, chiacchiere. Parla brasiliano senza lasciare la morbidezza piana dell’italiano (dicono che anche il suo fluente inglese abbia un accento Italian-American). E’ stato scelto dopo mesi di scrutinio in un bouquet di nomi: bisognava innanzitutto decidere se puntare su chi già conosceva il gruppo o su chi doveva portare la frustata fresca dell’esterno. E’ prevalsa la prima opzione, vista anche la difficoltà del momento. Dopo la rottura con Tavares difficile assorbire un altro choc.
Tra i manager cresciuti in casa, Filosa era emerso già come uno dei candidati migliori. John Elkann lo ha voluto conoscere più a fondo frequentandolo per un paio di settimane durante le quali ha visitato gli stabilimenti brasiliani in particolare quello a nord nel Pernambuco, lo stato dove è nato Lula da Silva (l’ex sindacalista si era speso molto per la sua costruzione durante i suoi primi due mandati). Il nuovo boss non avrà compito facile. L’anno scorso i ricavi del gruppo sono calati del 17 per cento a 156,9 miliardi di euro e i profitti del 70 per cento a 5,5 miliardi. Il 2025 non sta andando bene. Alle difficoltà aziendali si è aggiunta l’incognita dazi sulle importazioni di vetture e componenti negli Usa dove le vendite sono in calo. E’ vero il gruppo è in parte americano, ma Trump se l’è presa con le fabbriche in Messico e Canada. Che cosa diranno i sovranisti nostrani ora che c’è un italiano al volante della Stellantis e un altro italiano alla guida della Renault? E i queruli sovranisti francesi? Forse finiranno come i capponi di Renzo, ma sulle tavole dei grandi sovranisti americani e cinesi.