Il procuratore di Agrigento sfrutta un’indagine per attaccare il governo

Dopo l’arresto di un dirigente comunale, il procuratore Di Leo ha diffuso un comunicato sull’indagine in cui critica le leggi approvate dal Parlamento sulle intercettazioni e sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio. Per Nordio e Csm tutto normale?

Può un procuratore della Repubblica sfruttare un comunicato stampa diffuso in seguito all’arresto di un indagato per criticare le leggi approvate dal Parlamento e dal governo sulle intercettazioni e sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio? A quanto pare sì, alla faccia dell’equilibrio, della sobrietà e del self restraint delle toghe tante volte auspicati anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Accade ad Agrigento, dove nei giorni scorsi è stato posto agli arresti domiciliari un dirigente dell’ufficio di vigilanza e controllo del comune di Licata, nell’ambito di un’inchiesta per corruzione sugli appalti per il rifacimento della rete idrica nella città dei Templi, che va avanti da mesi. Subito dopo la notizia, il sindaco di Agrigento, Francesco Miccichè, in una nota ha espresso “illimitata fiducia nell’operato della magistratura”, ma allo stesso tempo ha auspicato “che le indagini in corso non pregiudichino la realizzazione dei lavori relativi alla ristrutturazione della rete idrica di Agrigento, un’opera essenziale, attesa da decenni, strumento ‘chiave’ per risolvere la crisi idrica che attanaglia la città”. Un’opera per la quale è stato previsto lo stanziamento di ben 37 milioni di euro. Ebbene, sentendosi chiamato in causa, il procuratore di Agrigento, Giovanni Di Leo, ha diffuso un lungo comunicato stampa sull’indagine che assomiglia più a una risposta al sindaco Miccichè e a un manifesto di opposizione alle politiche del governo nazionale.

Nel comunicato Di Leo stigmatizza “alcune prese di posizione pubbliche su una indagine ancora in corso” da parte di chi “non è pienamente a conoscenza dei fatti”, riferendosi indirettamente al sindaco Miccichè. Segue l’attacco alla recente legge approvata dal Parlamento che a fissa a 45 giorni il limite per realizzare le intercettazioni, salvo alcune deroghe (come i reati di mafia, terrorismo e in verità anche quelli contro la Pubblica amministrazione): “Indagini della complessità di quella in esame non possono essere contenute nei termini indicati dal legislatore per le intercettazioni, con una recente modifica del codice di procedura penale”, scrive di Leo, anche se come abbiamo detto la riforma non si applica ai reati contro la Pa.

“I tempi di una attività amministrativa complessa sono di norma assai più lunghi e in ogni momento possono inserirsi in essa fenomeni devianti dal buon andamento della Pa”, aggiunge il procuratore di Agrigento, come se compito dei pubblici ministeri fosse quello di intercettare continuamente politici, funzionari e imprenditori, durante tutta la procedura amministrativa, verificando che non siano commessi reati.

Come se non bastasse, Di Leo se la prende anche con l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio: “L’obbligo dell’ufficio requirente o del personale di polizia giudiziaria di reprimere detti fenomeni è ulteriormente reso più gravoso dalla intervenuta abolizione di un reato-spia, come l’abuso d’ufficio, che spesso permetteva di avviare indagini più complesse”. Torna in auge l’idea del “reato-spia”, contraria a ogni concezione liberale del processo penale: un reato dovrebbe esistere per sanzionare specifiche condotte, non per servire da strumento di ricerca di altri reati che non si riescono ad accertare con i modi ordinari previsti dalla legge.

Ma l’attacco di Di Leo al governo diventa ancora più chiaro poche righe dopo: “Il quadro normativo attuale sembra pertanto volgere a una richiesta di sostanziale ‘impunità’ per detti reati, che non può essere ovviamente accolta”. Insomma, per il procuratore di Agrigento il governo con le sue riforme punterebbe a garantire l’“impunità” agli autori di gravi reati contro la Pubblica amministrazione.

E pensare che, secondo la legge che disciplina i rapporti tra magistrati e gli organi di informazione (d. lgs. 106/2006), “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre specifiche ragioni di interesse pubblico”. Chissà nel caso di Agrigento quale sarebbe l’interesse investigativo o pubblico nel diffondere un comunicato pieno di attacchi contro scelte politiche legittimamente adottate dal governo e dal Parlamento.

Il ministro della Giustizia Carlo Nordio e il Consiglio superiore della magistratura potrebbero (dovrebbero) chiederlo direttamente al procuratore Di Leo.

Di più su questi argomenti:

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto “I dannati della gogna” (Liberilibri, 2021) e “La repubblica giudiziaria” (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]

Leave a comment

Your email address will not be published.