“Salvare Israele” è uno slogan in sé giusto, a condizione che non significhi premiare i boia di Hamas
Gaza è diventata il Vietnam di Israele, la sua guerra di Algeria. L’opinione internazionale, quella convocata in piazza a Roma per il 7 giugno, non ha più dubbi su questo e comincia a influenzare le decisioni e gli orientamenti di governi fino a ieri amici di Israele, caduto in un completo isolamento. In Vietnam gli americani usarono il napalm sterminatore, i francesi ad Algeri la tortura. Israele ha sganciato tonnellate di bombe su aree densamente popolate di un territorio piccolo e isolato e ha impegnato il suo esercito, composto di militari di leva e riservisti civili richiamati in servizio patriottico, per espugnare una roccaforte del terrore nelle mani di una banda nichilista e antisemita, che professa la distruzione dell’entità sionista, e distruggere le basi militari di lancio dei razzi e le armate della morte che si facevano e si fanno scudo della popolazione civile in ospedali e scuole e imprigionano gli ostaggi catturati nel corso di un pogrom con le sue atrocità indicibili, che sono lo specchio della disperazione di Gaza e della sua popolazione civile, assoggettata su due fronti dall’offensiva militare israeliana e dalla banditesca gestione delle cose da parte degli aguzzini di Hamas, dai patiboli su cui vengono issati perfino gli ostaggi liberati, vivi e morti, al sequestro e al contrabbando sistematico degli aiuti internazionali in cibo e medicine.
La ragione umanitaria, sostenuta da una informazione a flusso, ininterrotta, disperante sia per i fatti che rappresenta sia per il modo di rappresentarli, dice o grida che Israele ha passato il segno, che questa è divenuta una guerra criminale contro l’innocenza e i bambini, che il numero di vittime è, come è effettivamente, inaudito e in una progressione infernale, che è il momento di fermare Israele in ogni modo. Prima che lo sfascio totale di Gaza e della Cisgiordania conduca a una ondata di pulizia etnica con le espulsioni di popolazione invocate dalla destra estrema e pianificata in modo folle e follemente frivolo dall’immobiliarista Trump, con il sostegno incredibile dello stesso Netanyahu.
E’ comprensibile che su queste grida si convochi una manifestazione di protesta, che si preveda una convergenza ambigua ma legittima di sinistra e destra, e di molte sinistre, da quelle democratiche non ostili a Israele e agli ebrei a quelle palesemente antisemite, antisioniste, favorevoli alla liberazione della Palestina dal fiume al mare, cioè all’annientamento di Israele. Non si sa se finirà così, ma la parola d’ordine lanciata da alcuni è “salvare Israele”, con l’idea di salvare quel paese dal suo governo, che questa guerra ha voluto e conduce con l’appoggio della maggioranza della popolazione e tra le proteste di una minoranza che non ci sta e rigetta contenuto e modi della reazione al 7 ottobre. Ma i manifestanti del 7 giugno dovrebbero mettersi in testa e incorporare nella loro buona coscienza una differenza fondamentale tra le guerre coloniali o postcoloniali come il Vietnam e l’Algeria e la guerra di Gaza. I partigiani dell’Fln di Algeri, di Orano, Bona e Costantina facevano del terrorismo urbano contro l’occupante ma non praticavano apertamente e consapevolmente il sacrificio dei civili “per il bene della causa” e non erano una minaccia diretta per la Francia e la sua integrità nazionale o la sua esistenza.
I vietcong combattevano l’esercito nemico, dopo decenni di guerra contro altre potenze coloniali, ma non minacciavano la vita di New York e Washington o la Repubblica americana, l’esistenza degli Stati Uniti. Né il Vietnam né l’Algeria furono originati da un pogrom, e quelle grandi nazioni in guerra non stavano sotto la minaccia di diversi fronti, uno dei quali in stato prenucleare, e in condizioni di assedio. “Salvare Israele” è uno slogan in sé giusto, e anche salvare Gaza dalla guerra è una aspirazione generale indiscutibile, a condizione che non si risolva in un’azione per bloccare la difesa di Israele e premiare i boia di Hamas. Sullo sfondo e in proscenio dovrebbe sempre figurare anche la parola d’ordine affacciata da un giovane a Milano su un cartello esposto a una finestra durante una sfilata pro palestinese: “FREE GAZA FROM HAMAS”.