Molti pensano che per questa via si può vincere ma non certo governare. Ma oggi più di prima qualcosa di nucleare unisce: il pericoloso limite toccato dal governo Meloni nella conduzione del paese
Il recente successo del campo democratico nel voto amministrativo ha dimostrato ancora una volta la necessità dell’unità tra i partiti alternativi alla destra italiana. Una unità, sottolineo, paritaria, rispettosa delle diversità, consapevole di dover accettare al suo interno compromessi.
Molti pensano: per questa via si può vincere ma non certo governare. Non sono d’accordo. Perché oggi più di prima qualcosa di nucleare unisce: il pericoloso limite toccato dal governo Meloni nella conduzione del paese. Irrilevanza internazionale, insofferenza alla dialettica democratica e al conflitto sociale, controllo dell’informazione, attacco alla cultura e all’arte, restringimento dello stato sociale, dei servizi, a partire dalla sanità, marginalizzazione dei lavoratori e delle fasce più deboli, cancellazione della memoria storica fino a ora condivisa dalla maggioranza degli italiani. In sintesi, l’allontanamento rapido dai fondamenti costituzionali. Da quella Costituzione i cui princìpi sono concepiti, per la sua stessa natura, nel continuo movimento della storia. Rinnovandoli a fronte delle esigenze del momento. Differenze programmatiche tra i democratici (molto meno evidenti di quelle tra i partiti di destra) verranno sciolte, dentro ciò che davvero oggi ci può e ci deve unire: la lealtà repubblicana e la necessità di reinventare i suoi “princìpi” fondamentali. E’ questo che può dare una speranza collettiva e mobilitare i tanti delusi che si astengono. Non è un richiamo nostalgico al passato. Sono marginali i saluti romani e qualche camicia nera di troppo.
Attualissima, piuttosto, è la curvatura strisciante autoritaria e di classe che oggi soffoca il nostro paese. Il valore della pace e di un’Europa diversa, la sacralità della libertà e della giustizia come le condizioni per stare assieme, la solidarietà e la fraternità nel rapporto con gli altri sono paradigmi rivolti al futuro e che profilano una società diversa. Alla sinistra manca l’anima, non qualche pagina di programma. Il voto di Genova conferma la vittoria che in quella città, nelle ultime elezioni regionali ottenne Andrea Orlando e spinge nella direzione fin qui auspicata. Il Pd ne esce molto bene. Altrettanto Elly Schlein, con la sua caparbietà unitaria, il suo coraggio che, purtroppo, da più parti si è tentato di indebolire. La candidatura di Silvia Salis, un’altra donna di grande valore, è risultata credibile, nella diversità delle forze che l’hanno sostenuta, perché oltre agli impegni concreti indispensabili ha interpretato un’alternativa di valori all’umore nero del “regime” di Giovanni Toti.
Ora occorre procedere per questa via, in vista del voto per il governo dell’Italia. Ho trovato, in questo senso, nel lungo intervento di Renzi apparso sul Foglio qualche giorno fa, un tono nuovo. Renzi rivendica molte cose del suo passato. Ho tante volte polemizzato con lui. Soprattutto sul ruolo che ha avuto Conte negli ultimi anni, che considero altamente positivo. Ha trasformato i Cinque stelle, liberandosi di Grillo e dei populisti, ha governato ottimamente insieme al Pd e con una larga alleanza, ha dimostrato, assai sottovalutato per questo aspetto, cultura e intelligenza. Non credo che il mio giudizio sia segnato da un’amicizia ormai lunga che mi lega a lui e che ho sempre rivendicato pubblicamente.
Ma Renzi ha detto una cosa importante: occorre segnare una riga tra il passato e il futuro. Ha sottolineato l’importanza di non rivendicare le proprie ragioni in modo ideologico e improduttivo, ma di incidere, cambiare, contribuire a modificare la realtà, negli spazi possibili; riferendosi a quella alta tradizione di realismo politico di cui l’Italia è stata maestra con Machiavelli e Guicciardini. Ho colto, anche in lui, la temperie autentica del nostro elettorato in questo momento: che vuole unirsi su una scelta di “civiltà”, piuttosto che dividersi su aspetti pur importanti, di un programma di cose da fare, sul quale via via si potranno trovare le soluzioni più efficaci. Infine ha detto che di alleanza tra partiti si tratta e non di una fusione indistinta; e so quanto ciò sia importante per tutti, a partire dal Movimento 5 stelle, che giustamente rivendica con intransigenza l’essenza della sua stessa scaturigine, proprio nel momento in cui si apre alla politica e rinuncia alla demagogia. Non occorrono forzature, pressioni. Abbiamo mesi davanti. Battaglie parlamentari e mobilitazioni che rafforzeranno l’incontro e non il sospetto reciproco. A partire dalla manifestazione del 7 giugno contro le infamie impunite che continuano a sterminare il popolo palestinese.
Concludo con una nota personale. Qualche lettore forse conoscerà già cosa penso di fronte all’attuale forma di capitalismo, sostenuto da uno sviluppo scientifico e tecnologico precedentemente impensabile, che sta cambiando antropologicamente gli esseri umani. Coltivo, dunque, dentro di me una speranza di capovolgimento della logica mercantile che ha annientato lo spirito. Ma non conosco attualmente le strade per agire in questa direzione. Senza violenza e nella libertà di tutti. Spero tanto in qualcosa che nasca alla radice dell’albero tra le nuove generazioni. Ma per tenere vivo questo sentimento, o probabilmente questa illusione, è deleterio contemplare senza fare alcunché. Dunque, come amava dire Tronti, più l’orizzonte si fa alto e ambizioso, più la tattica, il movimento concreto, la politica quotidiana debbono essere praticate con cura, convinzione, sagacia e impegno.