La natura umana, l’istinto bellicista, l’illusione della pace. Per D’Alema il 7 ottobre viene da lontano, per Fini Israele difende il suo diritto di esistere
Tempi di guerra in Ucraina e Medio Oriente, e di confronto-scontro tra due ex avversari politici nonché ex ministri degli Esteri (ex premier l’uno, ex vicepremier l’altro). Trattasi di Massimo D’Alema e di Gianfranco Fini, riuniti per la presentazione del libro “Guerra e natura umana-le radici del disordine mondiale” di Gianluca Sadun Bordoni (ed. Il Mulino), alla presenza, tra gli altri, di Alessandro De Angelis e di Italo Bocchino nella veste di coordinatori, e dell’ex presidente del Senato Marcello Pera nella veste di spettatore attivo. E dunque si indaga non soltanto il passato dell’uomo cacciatore e raccoglitore che, fin dalla preistoria, ha coltivato in sé il germe bellicista, ma si archivia definitivamente, dice l’autore, l’illusione della pace. Chi ha un vantaggio tende a sfruttarlo, è il concetto, e la guerra fa parte della natura umana, come dicono la paleogenetica e la bioarcheologia. Insomma, le speranze post guerra fredda erano vane. “Diciamo che la paleogenetica non è la mia disciplina”, esordisce un D’Alema in modalità “femminista” che avrebbe voluto si parlasse anche dell’altra metà del genere umano, più incline alla pietas.
“Non vengo da una cultura pacifista, ma questo non vuol dire arrendersi a una logica di guerra”, premette, e la premessa è importante, visto che la conversazione precipiterà in acceso scambio di vedute, con Fini che si rammaricherà di dover pensare che Israele, lo stato del popolo che fu vittima del nazifascismo, potrebbe finire descritto come simbolo di nazifascismo. “Nemesi storica”, dice D’Alema, intento a sfoderare dati demografici sul futuro numericamente esiguo che aspetta l’uomo bianco occidentale. Fini guarda al Palazzo di Vetro come a un edificio “vuoto di qualsiasi potere”, tra potenze non più egemoni. E se D’Alema ricorda i giorni del 2006 (crisi in Libano, con lui ministro che assiste al processo di mediazione e ai colloqui con Hezbollah – della serie: se vuoi la pace devi parlare anche con i terroristi), Fini ricorda quelli del 2008 (vertice di Bucarest) in cui Angela Merkel manifestò il timore, rispetto all’eventuale ingresso dell’Ucraina nella Nato, che il popolo russo potesse percepire l’atto come aggressivo: non si può certo considerare un errore l’allargamento a est, dice Fini, e però, viste da oggi, le parole di Angela fanno riflettere. Ma è quando si comincia a parlare di Gaza che l’amarcord si fa lontananza siderale. “Pulizia etnica”, dice D’Alema riferendosi all’azione di Benjamin Netanyahu. “Israele, accerchiato fin dalla nascita da chi ha come obiettivo la sua distruzione, reagisce”, dice Fini. “L’attacco terroristico del 7 ottobre”, dice D’Alema, “diventa occasione per la destra israeliana di portare avanti il suo disegno: spingere i palestinesi ad andare via. Il 7 ottobre è la reazione barbarica a qualcosa che era iniziato prima, e al fatto che per i palestinesi, privi di una qualsiasi prospettiva politica e in una condizione di oppressione, il terrorismo ha preso forza”. Si cerchi di capire “la psicologia di un popolo”, dice Fini, “difendere un popolo non significa difendere un governo. Gli ebrei nel mondo sono 15 milioni e dal 70 dopo Cristo, forse anche prima, sono stati oggetto ripetutamente della volontà, più o meno dichiarata, di archiviare la pratica. Non erano stati uccisi in un giorno tanti ebrei come il 7 ottobre, dal momento in cui sono stati chiusi i forni crematori. Il popolo di Israele difende il diritto di esistere; poi io per primo dico che Netanyahu ha perso il controllo della situazione e sta facendo un danno anche al buon nome di Israele”. Finisce il tempo, la soluzione non c’è, l’accordo tra i relatori neppure. Solo l’Europa, per i due ex ministri, si erge sullo sfondo come sagoma esangue da riportare in vita.