La destra inciampa sempre sullo stesso ostacolo: i candidati. Pure nelle Marche

Nelle elezioni comunali appena concluse (e vinte dal centrosinistra) è stata infilata una serie di nomi che, più che scaldare i cuori, hanno fatto alzare qualche sopracciglio. E il problema è destinato a ripetersi

La politica è un po’ come Sanremo. Tutti vogliono salire sul palco, ma non tutti hanno la voce per incantare il pubblico. E la destra italiana, in questo eterno provino, almeno alle elezioni amministrative, sembra avere un problema non da poco: la scelta dei candidati. Non che manchi il talento, intendiamoci. E’ che a volte sembra che il casting sia stato organizzato in fretta e furia, come se qualcuno avesse detto: “Prendi il primo che passa, purché sia dei nostri”. E così, nelle elezioni appena concluse e vinte dal centrosinistra – da Ravenna a Genova, passando per le precedenti elezioni di Roma, Napoli e Milano e ancora prima in Sardegna – la destra ha infilato una serie di nomi che, più che scaldare i cuori, hanno fatto alzare qualche sopracciglio. E il problema è destinato a ripetersi. Perché presto si torna a votare per le regionali. Prendiamo le Marche, per esempio. Dove Fratelli d’Italia ha deciso di giocarsi la partita con Francesco Acquaroli, presidente uscente e uomo che, a quanto pare, ha più dubbi di Amleto e più chilometri Roma-Ancona di un rappresentante di commercio.

Non che manchi di buona volontà, sia chiaro. Ma in una delle sue recentissime incursioni nella capitale, città nella quale precipita settimanalmente cercando conforto tra gli uomini di Giorgia Meloni, egli ha tirato fuori un’idea che è un piccolo gioiello di ingenuità. Ce l’hanno raccontato alcuni presenti. Convinti che pure nelle Marche, con un candidato così, si finirà con il perdere. Ma ecco Acquaroli alla riunione: “Facciamo partire la campagna elettorale il 2 giugno”, ha proposto con entusiasmo. E poi: “Raduniamo tutti i sindaci marchigiani, sarà un successone”. Silenzio in sala. Qualcuno tra i dirigenti di FdI a quanto pare ha tossicchiato. Qualcun altro si è guardato le scarpe. Perché, caro Acquaroli, il 2 giugno i sindaci non sono mica al bar a giocare a briscola: sono in piazza, con la fascia tricolore al petto, a celebrare la Festa della Repubblica. Aprire la campagna il 2 giugno equivale all’incirca a invitare un chirurgo a cena nel bel mezzo di un’operazione. E’ un tantino occupato. Ora, non ridete troppo. Questo aneddoto non è una bocciatura, ma un sintomo della difficoltà di trovare i frontman giusti, quelli che non solo sanno cantare la canzone, ma la fanno anche arrivare al pubblico. Per conquistare i teatri bisogna imparare a non mandare in scena il tenore quando serve il baritono. E, soprattutto, bisogna controllare il calendario prima di fissare il debutto.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori “Fummo giovani soltanto allora”, la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.

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