Che abisso, fra i produttori tv e il pubblico. La wokeness spiegata con i dati

Crollo di ascolti per la nuova stagione di Doctor Who con Ncuti Gatwa, tra le critiche alla “wokeness” delle trame e un divario sempre più ampio tra produttori e pubblico. Uno studio spiega come le scelte ideologiche nei contenuti audiovisivi sono spesso molto più avanzate rispetto alla sensibilità degli spettatori

La serie britannica “Doctor Who” va in onda, con qualche interruzione, dal 1963. In oltre mezzo secolo, vari attori – tra cui una donna, Jodie Whittaker – hanno interpretato il Signore del Tempo. A ogni svolta, i fan discutono, i giornalisti pure: una mossa sbagliata potrebbe nuocere. E’ successo con l’attore ruandese Ncuti Gatwa, nato nel 1992 a Kigali, emigrato a due anni in Scozia con i genitori. Ha studiato recitazione a Edimburgo, proprio in questi giorni la sua carriera come Doctor Who ha avuto un brusco inciampo. Son crollati gli ascolti. Colpa dei personaggi che gli sceneggiatori hanno escogitato per la stagione. C’è un extraterrestre maschio e gravido; i temibili “incel”, maschi scompagnati che incolpano il mondo per la loro solitudine; alieni non binari, e purtuttavia pericolosi; una figliastra transgender. Le trame vanno di conseguenza. Perfetto esempio della situazione che il ricercatore Stephen Follows (sul suo sito “Capire il mondo con i dati”) illustra in uno studio.



Se parliamo di wokeness sugli schermi, gli spettatori sono decisamente indietro rispetto a chi ordina la produzione di film o serie. A giudicare dall’ultima stagione di “Doctor Who”, l’affermazione è incontrovertibile. Ma lo scienziato non si accontenta. Le controversie in materia ci sono sempre state, a partire dagli anni 70 soprattutto. Doctor Follows le vuole misurare. Avere certezze. Esporre al mondo una teoria scientificamente valida. E allora calcola. E disegna grafici. Partiamo dagli spettatori. Il termine “woke” ora è noto a due terzi degli adulti britannici. Solo cinque anni fa, nel 2020, il 24 per cento del pubblico lo conosceva e lo considerava offensivo. Ora la percentuale di chi lo giudica tale è arrivata al 36 per cento. Piccoli abissi si sono creati tra chi produce i contenuti e chi li guarda. Qui dati si riferiscono al 2021, e disegnano una situazione curiosa. Il 59 per cento dei dirigenti tv si autoaccusava di arretratezza, riguardo al modo di trattare i diritti delle persone transgender. La stessa questione, sottoposta al pubblico, otteneva solo il 31 per cento di consensi. Il 62 per cento dei normali spettatori dichiaravano che la correttezza politica era andata troppo avanti. Solo il 19 per cento dei dirigenti televisivi era della stessa opinione.



Piccoli abissi – la tv e le serie non cambiano il mondo, semmai lo riflettono. Ma in Gran Bretagna i funzionari tv sono più avanti del pubblico, e non si preoccupano di sfornare prodotti per spettatori poco acculturati. Ogni confronto con il sistema audiovisivo italiano crolla ancor prima di finire la frase. Sarebbe interessante fare un compito, scritto, sulla parola “woke”, significato e comprensione della medesima. Interessante è il metodo per misurare la wokeness, sullo schermo e nei commenti. Ricorda la disputa tra le formiche e i ragni, ai tempi di Francis Bacon (1600, vogliamo stare larghi). Tra chi raccoglie dati su dati e chi invece i dati li interpreta. Follows ha scritto per ogni film considerato una recensione totalmente ideologica – ché questo vuol dire “woke”. Poi è andato a leggere – con l’aiuto dell’AI – quattro milioni di recensioni su internet. Ha calcolato quanto erano distanti dalla sua – il grado massimo di wokeness raggiungibile, dallo spettatore più incline all’ideologia e cieco a ogni altro valore cinematografico. Il remake di “Ghostbusters” con un cast di tutte donne era solo bruttino. Poco interessante, certo non scandaloso: le critiche furiosamente negative venivano dal troppo amore per l’originale, e per i suoi attori. Vergini, innocenti, incolpevoli risultano soltanto Dracula, Elvis, Godzilla. Un po’ scarsa, come dieta – benché variata. Non saranno i criteri a essere troppo restrittivi?

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