Le montagne ribaltano il Giro d’Italia. Vince Scaroni, Carapaz stacca Del Toro

Tripletta italiana a San Valentino: Lorenzo Fortunato arriva in parata con il compagno della XDS Astana, dietro di loro Giulio Pellizzari. Primoz Roglic si ritira, Juan Ayuso va in crisi e perde un quarto d’ora

Vagano, vagano. Girolanz… gironzano, gironzalon, vagano, vagano. Vagano i corridori tra salite e discese, sotto le cime dei monti, sui passi che hanno latitato per due settimane per ritrovarsi tutti assieme per il gran finale del Giro d’Italia, quella terza settimana hardcore che il Giro si ostina a concedersi.

E gironzano le ambizioni, in fuga dal gruppo alla ricerca di una vittoria. Come quelle di Lorenzo Fortunato e Christian Scaroni. Infuturatosi che non era nemmeno ora di pranzo, quando ancora scendevano secchiate d’acqua dal cielo. Fuggiti anche dai fuggitivi sulla strada che conduceva a San Valentino, arrivati in parata di squadra, la XDS-Astana, sotto lo striscione del traguardo. Prima una stretta di mano, poi un abbraccio e la linea d’arrivo superata mano destra nella mano sinistra e le altre due a celebrare vittoria e amiciza. Che forse non è amore alla maniera del santo della festa degli innamorati, quella introdotta da papa Gelasio I per provare a far dimenticare i Lupercalia ai cristiani, ma tant’è. Primo Christian Scaroni, secondo Lorenzo Fortunato che oggi tra le montagne trentine ha fatto incetta di punti dei Gran premi della montagna per evitare di togliersi di dosso la maglia blu del miglior scalatore.

E gironzano le ambizioni in fuga dal Giro, avvolte nel rimpianto di un ritiro, quello di Primoz Roglic, o di un ginocchio che fa male e una gamba che non gira, quelli di Juan Ayuso, arrivato un quarto d’ora dopo Scaroni, con il volto nero di rammarico.

Il Giro d’Italia 2025 che doveva essere s’è perso nelle prime due settimane, si è disintegrato del tutto nella sedicesima tappa, alle prime montagne dell’ultima settimana. Stiamo assistendo a un altro e non ci si può lamentare. In fondo è sempre andata così: decide la strada, decidono le gambe e le montagne.

E la strada, le gambe e le montagne hanno detto che Richard Carapaz ha quella voglia indomita dei giorni belli, di quanto sente le gambe gridare attacca! E lui è mica corridore che se lo fa dire due volte. Ha attaccato. Con uno scatto violento e danzereccio ha staccato Simon Yates e Isaac Del Toro, i migliori con lui quando la strada sale. Gli unici che a Piazzola sul Brenta gli stavano davanti in classifica generale (con Juan Ayuso, che però è andato in crisi e quindi si era già autoeliminato).

E la strada, le gambe e le montagne hanno detto che Giulio Pellizzari, libero dal compito di fare da balia a Roglic, ha il talento per stare con i migliori e pure davanti ai migliori. Sulla strada che portava all’arrivo è scattato nel disinteresse dei più forti. È andato però più forte dei più forti. È stato raggiunto da Carapaz, ha ripreso fiato alla sua ruota, poi lo ha lasciato indietro: terzo all’arrivo, podio tricolore completato, nono in classifica generale a 4’36” dalla maglia rosa e quattro minuti dal podio. Un messaggio ad avversari e squadra: cari tutti, dovete fare i conti anche con me.

Da Piazzola sul Brenta a San Valentino, lungo 203 chilometri della sedicesima tappa, il Giro ha cambiato abito e mutato espressione. Nel viso di Isaac Del Toro è sparita la gagliardia, si è insinuato il dubbio, quello atroce, di chi ha smesso di trovare facile ciò che facile gli veniva, ossia zompettare sui pedali, cambiare ritmo, far faticare gli altri. Un dubbio lenito solo da un altro dubbio, questo più dolce, che in fondo sia stata solo una défaillance da prima esperienza in un grande giro, da gestione sbagliata del giorno di riposo. Una défaillance, tutto sommato, gestita senza impanicarsi troppo. Ripartirà da San Michele all’Adige ancora in maglia rosa. E questo è un motivo per non essere troppo catastrofisti.

Il momento nel quale Simon Yates stacca Isaac Del Toro sulla strada che porta a San Valentino (foto LaPresse)

Domani ci saranno nuove montagne e nuovi scatti. Qualcuno proverà a metterlo in difficoltà. Ci saranno nuove fughe.

Quella di oggi è riuscita a raggiungere il traguardo prima dei più forti, almeno in minima parte. Hanno sorriso Christian Scaroni e Lorenzo Fortunato. Non era troppo dispiaciuto Jefferson Cepeda, sesto. Poteva andare meglio a tanti.

Ai sette pionieri del pronti via: Xabier Mikel Azparren, Jon Barrenetxea, Josef Cerny, Lorenzo Germani, Joshua Tarling e Wout van Aert. Agli altri sedici che con la coppia della XDS Astana li avevano raggiunti. Molti si sono persi strada facendo già prima del Santa Barbara, qualcuno è rimasto anche quando la strada che portava verso il passo ha iniziato a separare il grano dalla zizzania: Pello Bilbao, Jefferson Cepeda, Gij Leemreize, Sylvain Moniquet e Yannis Voisard. Lo svizzero si è inventato una discesa di pelo e bravura verso Mori. Si è avvantaggiato in discesa, per provare a continuare a farlo in salita. Non è andata come avrebbe voluto.

Ancor peggio è andata a Joshua Tarling e Alessio Martinelli. Il primo ha incocciato contro un guardrail, il secondo è finito giù da un burrone. Entrambi sono finiti all’ospedale. Molte botte, diversi dolori, la certezza che il loro Giro è finito nel modo nel modo peggiore.


Per solidarietà ai corridori che corrono il Giro d’Italia, qui si è deciso di raccontare le tappe del Giro d’Italia facendo la loro stessa fatica: una lettera a metro di dislivello. Ecco il racconto della sedicesima tappa, la Piazzola sul Brenta-San Valentino, 203 chilometri e 4.900 metri di dislivello, in 4.900 battute (spazi inclusi).

Leave a comment

Your email address will not be published.