I bambini di Gaza e quelli di Auschwitz

Mettere sullo stesso piano la situazione medio-orientale e la dittatura nazista significa cancellare la storia per finalità ideologiche. È una mistificazione che trasforma la Shoah in un mito da abbattere e Israele in nuovo carnefice

Con accanimento irrazionale si continua a ripetere che i bambini palestinesi morti a Gaza, da quasi due anni luogo di sofferenza indicibile e crudelmente angosciosa, sono l’immagine allo specchio dei bambini ebrei sterminati nelle camere a gas. La evidente diversità che corre tra le vittime di una guerra spietata e le vittime di una strategia di sterminio ispirata dall’odio razziale viene sistematicamente cancellata per un motivo politico razionale: obliterare come mito inservibile la Shoah e abbattere la barriera morale dell’antisemitismo, considerati, mito e barriera, uno strumento di copertura della strage etnica di un intero popolo. Se le vittime sono lo specchio le une delle altre, anche i carnefici, e s’intende i nazisti e gli israeliani, sono equiparabili. Netanyahu uguale Hitler, l’Idf uguale alle SS. Non è vero che Israele si difende da un esercito di annientamento e di terrore che si fa scudo degli ostaggi rapiti e del suo stesso popolo e dei suoi bambini, “per il bene della causa” come diceva esplicitamente Yahya Sinwar, il regista del pogrom del 7 ottobre; vero invece che Israele e il suo esercito sono potenze maligne che perpetrano il genocidio dei palestinesi così come i nazisti attuarono lo sterminio degli ebrei d’Europa. Non tutto il partito umanitario la pensa così, in moltissime coscienze la pietà per i bambini di Gaza e per i civili della Striscia è autentica, ma l’opinione internazionale coagulata contro Israele e per la “liberazione della Palestina” coltiva la versione ideologica delle cose che abolisce la differenza tra autodifesa e sterminio etnico o genocidio a sfondo razziale, lungo la “linea del colore” che separa uno stato tecnologico e dell’abbondanza di tipo occidentale, Israele con il suo governo di destra del Likud e associati, e un popolo disperso che abita senza colpa uno stato del terrore fondato sul nichilismo antiebraico, la Striscia per quasi due decenni governata e plasmata da Hamas. David Bidussa è uno storico professionale, un ebreo livornese di sinistra, uno che giudica con severità i “crimini di guerra” del governo israeliano e del suo esercito nella tremenda impresa di Gaza.



Messo di fronte all’equazione che fa Gaza eguale a un lager nazista, Bidussa ha detto ieri alla radio che non si può più parlare di Israele come dell’erede della Shoah, il paese di Ben Gurion e di Golda Meir e dell’indipendenza conquistata contro la minaccia degli eserciti arabi e del terrorismo palestinese, uno stato forgiato e per un certo tempo governato da una élite socialista o progressista o anche di una destra zabotinskiana di derivazione sionista-europea. Israele è cambiato demograficamente, generazionalmente, culturalmente, ideologicamente, ciò che lo impregna e che spiega l’unificarsi attorno alla guerra di Gaza di una maggioranza pro Netanyahu non è più la memoria dello sterminio in Europa, è la sensazione dell’assedio e dell’ostilità annientatrice dei popoli che lo circondano e, che per la prima volta, hanno effettuato un pogrom di massa entro i suoi confini. La notizia che gruppi di giovani di destra, nella città vecchia di Gerusalemme, hanno festeggiato ieri il giorno della riunificazione di Gerusalemme, alla fine della Guerra dei sei giorni nel 1967, con un raid esaltato e violento, a sfondo razzista, pieno di sputi e di slogan carichi di odio, contro negozi arabi e gruppi musulmani, contribuisce forse a chiarire il quadro fatto alla radio dal professor Bidussa. Quei giovani non sono tutto Israele e nemmeno la sua sostanza civile, molti di loro sono stati identificati e arrestati dalla polizia, ma sono i battistrada, loro e i partiti della destra religiosa che li organizzano e li mandano, di un paese e di un popolo che non sono più essenzialmente i figli di ciò che è sopravvissuto allo sterminio di Auschwitz e che si è fondato sulla lotta di liberazione sionista dal mandato coloniale britannico, sono un’altra cosa, sono moltitudini che si sentono espulse dall’ambiente circostante e assediate e minacciate nella loro esistenza. E’ lo spirito dei coloni e dei gruppi biblicisti che anelano al Grande Israele, alle annessioni e a ulteriori colonizzazioni. Non gridano “morte agli arabi” nel ricordo dei lager europei, ma perché si considerano abitatori di una nazione-lager che deve difendersi con ogni mezzo da chi vuole violare i suoi confini e annegare i suoi abitanti nel Mediterraneo. In un certo senso, sono del colore dei loro nemici, sono dalla stessa parte della “linea del colore”.

Molto si è scritto, in saggistica e in letteratura, della trasformazione generazionale di Israele, della società israeliana, in qualcosa che è difforme dal carattere delle origini. E il sottotesto è che l’Israele di oggi è sempre più simile ai suoi nemici nei costumi, nel linguaggio, nella cultura diffusa e perfino in come si veste, cosa mangia, come si sposa e fa figli. La trasformazione del nazionalismo palestinese e della stessa pulsione terrorista in nichilismo islamista irriducibile, e il fallimento del processo di pace ultradecennale tentato negli anni Ottanta e Novanta, hanno implicato la trasformazione, in una simmetria dell’odio e della paura, dello stato-nazione o stato-guarnigione eretto intorno allo Yad Vashem, alla memoria della Shoah e alla continuità culturale con il giudaismo europeo, in una nuova moltitudine etno-politica e civile che si colloca sulla stessa “linea del colore” dei nemici arabi e palestinesi. Ma di questo giudizio non si tiene conto, per quel che vale e significa, quando si considera la disperazione della guerra senza fine alla luce empia della presunta nazificazione di Israele.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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