Gli autodazi che l’Ue non vuole vedere quando parla dei dazi di Trump

Le tattiche e le astuzie tipiche delle trattative diplomatico-mercantili non bastano, il vero cantiere per la Unione europea si chiama politica economica e industriale. Serve contrapporre una strategia di alleanze che il tycoon non possa rifiutare (a meno di non penalizzare il suo stesso paese)

Donald Trump ha cambiato di nuovo tattica: per trattare sui superdazi da imporre all’Unione europea, ha concesso a Ursula von der Leyen fino al 9 luglio. Ieri si sono parlati anche Maros Sefcovic e Howard Lutnick; a loro spetta l’intendenza, cioè apparecchiare la tavola per conto rispettivamente della commissione europea e dell’amministrazione americana. Le borse hanno reagito con un sospiro di sollievo.

Così è se vi pare, siamo in pieno pirandellismo. Si può sperare che la data fatidica slitti ancora un po’ e, nel frattempo, invece del 50 per cento si torni al 25 per cento minacciato il 2 aprile, il Liberation day. Bruxelles ha messo a punto contromisure per 100 miliardi di euro, ma l’obiettivo è quel 10 per cento ottenuto da Keir Starmer. Anche se fosse raggiunto, la frattura atlantica non sarebbe sanata; Mario Draghi lo ha detto chiaramente: “Con i dazi siamo al punto di rottura”.

Allora, le tattiche e le astuzie tipiche delle trattative diplomatico-mercantili non bastano, il vero cantiere per la Ue si chiama politica economica e industriale. Non si comincia da zero. Anzi si comincia dalla cassetta degli attrezzi riempita durante la pandemia, strumenti finanziari come gli eurobond, strumenti sociali come Sure, la “cassa integrazione europea”. Oggi, poi, esiste una vera e propria mappa delle cose da fare; il rapporto Draghi indica con chiarezza i settori strategici sui quali concentrare risorse e politiche: digitale, energia, difesa. La commissione dovrebbe tracciare tre linee rosse: ogni politica protezionistica americana in questi campi vitali va respinta, qui davvero “zero dazi”; nel frattempo è necessario avviare una strategia di finanziamenti straordinari, alleanze industriali transeuropee, sostegni alle imprese molte delle quali si stanno già muovendo.

La Ue ha bisogno di tecnologie (si pensi alla Intelligenza artificiale), ma anche il made in Usa deve piazzare le sue innovazioni e i suoi prodotti in un mercato ampio e ricco più di qualsiasi altro, come quello europeo. Lo dimostra la campagna di Elon Musk per vendere Starlink non solo in Italia, in tutta Europa, compresa la “nemica” Francia, con offerte competitive e un gran lavoro lobbistico. La Nasa non basta, il militare nemmeno, bisogna stare sul mercato. Il crollo della Tesla ha spaventato il chetaminico imprenditore, dunque anche lui può essere messo sul tavolo del negoziato. Prendiamo le batterie: i cinesi hanno acquisito un vantaggio competitivo, gli americani inseguono e hanno voglia di tener testa, nel frattempo arricchiscono i loro avversari. La gigafactory a Shanghai (auto e componenti elettriche) è stata graziata, ma fino a quando Musk potrà godere nello stesso tempo i favori di Donald Trump e di Xi Jinping? Gli Usa superano tutti nei data center, però la sicurezza nell’uso dei dati diventa una priorità e l’Europa sta correndo ai ripari.

Nei microprocessori, americani ed europei rincorrono entrambi gli asiatici (soprattutto Taiwan), perché non lavorare insieme? Intel aveva deciso di aprire delle fabbriche in Germania e Polonia (si era parlato anche dell’Italia), adesso i suoi piani slittano almeno di due anni non tanto per colpa dei dazi, quanto per le perdite accumulate dal gruppo americano. Nello spazio gli Usa hanno un vantaggio storico rispetto all’Europa che si è ampliato negli anni, sono avanti anche nell’aeronautica militare dove però la distanza è meno ampia grazie a Francia, Gran Bretagna e Italia. Nei velivoli commerciali, invece, Airbus ha vinto la sua pluridecennale battaglia contro Boeing. L’industria della difesa ha molto da mettere sul tavolo: Leonardo, British Aerospace, Thales, mostrano capacità tecnologiche e industriali di tutto rispetto e lavorano insieme; adesso arriva anche la Germania. Non mancano le fabbriche né i soldati, manca un comando unificato.

Fincantieri è il numero uno europeo nella costruzione di navi (e ora si lancia nei sottomarini); se Parigi non avesse fatto le sue solite bizze bloccando la fusione con i Cantieri dell’Atlantico, il nuovo gruppo avrebbe potuto battere molti mastodonti asiatici. Gli americani restano indietro, non hanno nessuna azienda tra le prime dieci, gli europei tre, anche se primeggiano coreani, cinesi e giapponesi. Insomma, la Ue dovrebbe contrapporre una strategia di alleanze che Trump non può rifiutare a meno di non penalizzare il suo stesso paese. Vuole il business? Ecco gli affari che avvantaggiano entrambi. Bruxelles ha buone carte soprattutto se sarà in grado di andare oltre l’occhio per occhio dente per dente, dimostrando che l’America è ancora grande non contro, ma insieme a un’Europa la quale ha un solo numero di telefono che Washington può chiamare.

Leave a comment

Your email address will not be published.