La vittoria gregaria di Carlos Verona al Giro d’Italia 2025

Essere gregario nel ciclismo è una dimensione dello spirito. Vuol dire mettere l’interesse di tutti sopra ogni cosa, concedere se stesso in modo assoluto a una causa di squadra. Anche quando si vince. Come ha fatto lo spagnolo della Lidl-Trek ad Asiago

“Non volevo farlo per me, ma volevo farlo per la squadra, sapendo quanto Giulio avesse lavorato per questa corsa”. Essere gregario nel ciclismo è una dimensione dello spirito. Vuol dire mettere l’interesse di tutti sopra ogni cosa, concedere se stesso in modo assoluto a una causa di squadra.

Domenica Carlos Verona ha vinto la quindicesima tappa del Giro d’Italia 2025. La seconda in carriera, la prima in un giro di tre settimane, alla sedicesima grande corsa a tappe pedalata da quando è professionista. Sotto il traguardo di Asiago è arrivato primo e solo. La linea d’arrivo l’ha oltrepassata a braccia alzate, incredulo per quello che aveva fatto. E quello che aveva fatto era tanta roba: un procedere solitario di quarantaquattro chilometri, dopo aver trovato il momento giusto per scattare sulla salita che portava a Dori, tenendo a bada un manipolo di corridori che volevano vincere e un gruppo che ha dato battaglia, uno scatto dopo l’altro, per staccare il più possibile un Primoz Roglic in mezza crisi.

Nemmeno in un giorno così, dopo un’azione del genere, Carlos Verona ha pensato a se stesso. “Ho dato tutto, per me, per Giulio, per la squadra, per la mia famiglia che era qui ed è andata benissimo. Sono felicissimo. Sono rimasto concentrato ed è andato tutto per il meglio”, ha detto dopo l’arrivo lo spagnolo. L’Io è solo un passaggio in un discorso dove esistono soprattutto gli altri. Dove un successo è soltanto la conclusione di un percorso collettivo.

Il ciclismo è sport individuale, ma fino a un certo punto. È sport fatto di singoli che si muovono in gruppo, dove micro-gruppi cercano di fare del loro meglio per concedere la solitudine ai singoli. Prima sul Monte Grappa e poi sulla salita che portava all’Altopiano lo si è visto nelle menate degli uomini della INEOS Grenadiers per favorire lo scatto di Egan Bernal, nell’accelerazione di Jefferson Alexander Cepeda per favorire il suo capitano Richard Carapaz. Nelle rincorse del UAE Team Emirates per permettere a Juan Ayuso di rientrare. E nel lavoro gregario di Giulio Pellizzari, Giovanni Aleotti e Daniel Felipe Martinez per evitare a Primoz Roglic di pedalare l’ultima settimana del Giro d’Italia nella disperazione di una classifica del tutto compromessa. La gamba è quella che è, le botte prese in queste due settimane si fanno sentire, l’umore vira alla tristezza. Eppure la voglia di mollare non c’è.

In gruppo sembra ci sia solo un uomo che può permettersi di uscire da questa logica: Isaac Del Toro. La maglia rosa pedala con una facilità assoluta, quella di chi sa di avere meno problemi degli altri perché gli sembra di fare meno fatica degli altri.

Eppure in questa logica rientra anche Isaac Del Toro. Il messicano non è ancora un Io narrante, ancora pensa al Noi del UAE Team Emirates. Ancora si gira per vedere dov’è Juan Ayuso. Ancora fatica a liberarsi da quella condizione di seconda punta della squadra emiratina con la quale aveva iniziato questo Giro d’Italia. E lo fa notare. È palese e teatrale il suo modo di correre. È evidente la sua voglia di un giorno di solitudine in testa al gruppo per dimostrare quanto gli viene facile vestire quella maglia di capoclassifica.

Mentre aspetta tutto questo, Bernal e Carapaz hanno intenzione di fargliela sudare il più possibile questa condizione di primo della classifica. Il loro sogno di ritornare dove già sono stati, sul podio più alto alla fine del Giro, li costringe a provarci, a tentare lo scatto, l’allungo buono per rimanere da soli. Richard Carapaz c’è riuscito avvicinandosi a Castelnovo ne’ Monti. Egan Bernal non c’è ancora riuscito, ma non gli fa paura riprovarci. Nella sua vita ha passato momenti peggiori, di gran lunga peggiori. E chi ha vissuto momenti nei quali c’era in ballo la vita e non una vittoria di tappa, si rende conto che non c’è nulla di più bello e gioioso che faticare come dei dannati su una strada che sale verso il cielo.


Per solidarietà ai corridori che corrono il Giro d’Italia, qui si è deciso di raccontare le tappe del Giro d’Italia facendo la loro stessa fatica: una lettera a metro di dislivello. Ecco il racconto della quindicesima tappa, la Fiume Veneto-Asiago, 219 chilometri e 3.900 metri di dislivello, in 3.900 battute (spazi inclusi).

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