Il regime proclama una “schiacciante vittoria”, ma le immagini mostrano seggi deserti. La protesta di Machado e la fuga da Caracas dei dissidenti assediati in ambasciata: “Eravamo prigionieri sotto i droni e i fucili di Maduro”. La spettacolare “Operazione Guacamaya” per liberarli
“Il Grande Polo Patriottico ha ottenuto una schiacciante vittoria alle elezioni regionali e legislative del Venezuela tenutesi domenica, ottenendo l’82,68 per cento dei voti validi per i deputati della lista nazionale, secondo i risultati ufficiali annunciati dal Consiglio Elettorale Nazionale (Cne)”, annuncia teleSur. “Oggi, oltre l’85 per cento dei venezuelani ha disobbedito a questo regime criminale”, ribatte María Corina Machado. Due dati quasi identici, eppure opposti. L’emittente del regime madurista si riferisce infatti ai voti espressi in favore della coalizione governativa; la leader della opposizione al boicottaggio per protesta, dopo la truffa elettorale alle presidenziali dello scorso 28 luglio.
Per la verità, il Cne ha riferito di una affluenza del 42,63 per cento, che sarebbero comunque un calo marcato rispetto al 57,90 delle presidenziali. Ma le immagini rilanciate hanno mostrato i seggi desolatamente vuoti, il Comando Venezuela della opposizione ha parlato di un 12,56 per cento di affluenza, la società di rilevazioni Meganálisis ha confermato un 12 per cento. E il fatto che il regime abbia prolungato l’orario di votazioni è eloquente. Certamente si è votato in un clima di paura. Arresti di massa a parte – venerdì il regime ha vantato l’arresto di altre 70 persone, tra cui lo stretto collaboratore della Machado Juan Pablo Guanipa – chi provava a telefonare o a mandare messaggi WhatsApp in Venezuela a persone schierate con l’opposizione constatava silenzio o rifiuti di rispondere. “Cerchiamo di non usare il telefono o altre cose che ci possano localizzare. Dobbiamo usare molte precauzioni in un momento così grave”, è un audio che ci è stato inviato dalla ex-candidata presidenziale Corina Yoris.
Sabato, intanto, a Washington avevano parlato per la prima volta in conferenza stampa Magallí Meda, Pedro Urruchurtu, Claudia Macero, Humberto Villalobos e Omar González: i cinque oppositori che il 6 maggio sono stati liberati dall’assedio nell’ambasciata argentina di Caracas dopo 412 giorni. Per motivi di sicurezza non hanno dato particolari, ma hanno testimoniato che l’operazione che ha portato alla loro fuga “è stata una delle più spettacolari mai registrate”. “Un processo molto complesso che ha richiesto un’operazione strategica di molte persone con rischi enormi di cui più tardi, da un Venezuela libero, si conosceranno i dettagli”.
“Sono stati 412 giorni molto complessi in cui i nostri diritti sono stati violati, e per sopravvivere abbiamo dovuto essere uniti come una famiglia”. “Immaginate di essere rinchiusi dove siete per un anno e due mesi. Immaginate anche cinque mesi senza poter accendere un interruttore, perché non c’era la luce; cinque mesi senza poter aprire un rubinetto e far uscire l’acqua”.
“Quando abbiamo deciso di entrare in un’ambasciata, lo abbiamo fatto cercando protezione, non cercando una prigione. Ma il regime purtroppo decise di trasformare quell’ambasciata in una prigione. E lo ha fatto davanti agli occhi del mondo perché era il suo modo di dimostrare tutto il suo potere e tutta la sua malvagità e di far vedere a tutti cosa sarebbe potuto succedere se avessero deciso di proteggere altri venezuelani che avessero cercato protezione in un luogo diplomatico. Ciò, naturalmente, davanti agli occhi del mondo, crea anche un precedente serio e pericoloso. Ciò che il regime sta dicendo è che non esiste un posto sicuro di fronte alle sue dinamiche criminali”. “Il regime ha ucciso l’asilo diplomatico come istituzione latinoamericana e lo ha ucciso davanti agli occhi del mondo. Non solo perché ha negato il salvacondotto, ma perché tutto ciò che ha fatto violava il diritto internazionale in modo ripetuto e sistematico, davanti agli occhi di tutti. Oggi in Venezuela opera una diplomazia degli ostaggi. Oggi in Venezuela vi sono ricatti, estorsioni e minacce nei confronti del corpo diplomatico accreditato nel Paese Purtroppo, ciò ha reso la diplomazia inoperante e anche silenziosa. Alla fine la diplomazia convenzionale ha fallito e il nostro caso ne è l’esempio migliore. Alla fine, non ha risposte contro un regime autoritario e criminale”. Dunque, il successo della operazione “risiede proprio nel fatto che si è trattato di un’operazione non convenzionale, per risolvere un problema e una sfida non convenzionali”.
Come hanno raccontato, la sede diplomatica argentina a Caracas è rimasta circondata per tutto il tempo dell’assedio da gruppi d’élite delle forze di sicurezza di Maduro. “Sette, otto posti di blocco prima di poter raggiungere l’ambasciata dello stato cileno. Da una parte c’era la robusta ambasciata russa. Da dietro, l’ambasciata altrettanto robusta della Corea del Nord. Dall’altra parte c’era una residenza privata che è stata espropriata e lì hanno piazzato gruppi d’élite della polizia di Maduro con cecchini equipaggiati con sofisticati fucili d’assalto e mirini telescopici”. “Inoltre, da lì operavano droni moderni che raggiungevano i 10.000 piedi di altezza per vedere quali fossero i nostri movimenti, violando così il territorio argentino a Caracas della sua ambasciata”. In più erano stati posti cani Rottweiler addestrati ad attaccarli. Gli unici che riuscivano a entrare e uscire erano pappagalli guacamayas. Per questo, quando gli assediati hanno potuto “volare via” anche loro il meccanismo per farli uscire è stato chiamato “Operazione Guacamaya”.