“La mia è politica: contro i pieni poteri di Meloni”. Il centro riformista con la sinistra radicale e i Cinque stelle, una coalizione necessaria. La replica di Renzi agli studenti
Il direttore del Foglio si diverte a farmi fare gli straordinari. Prima pubblica una mia lunghissima intervista affidata alla brillante penna di Maurizio Crippa: grazie! Poi però estrapola il tema più giornalistico, vale a dire la possibilità o meno per il centro riformista di fare un’alleanza con la sinistra radicale e i Cinque stelle, e chiama i giovani universitari a confrontarsi sul punto. Non sazio, Cerasa rilancia: “Matteo, abbiamo ricevuto centinaia di lettere. Ne pubblichiamo dodici. Perché non rispondi a qualcuna?” Il mio problema è che quando ci sono di mezzo i giovani universitari io non riesco a non emozionarmi. La cosa più bella che ha fatto in questi anni Italia Viva – più bella del governo Draghi, del Terzo polo, delle Leopolde con proposte come family act o Stati uniti d’Europa – è stata la scuola di formazione politica “Meritare l’Europa”. Alla fine più di tremila ragazzi si sono impegnati con noi. E alcuni di loro adesso sono in prima linea nelle istituzioni, a cominciare dall’architetto Vittoria Nallo, 27 anni, una delle prime studentesse di Meritare e oggi consigliera regionale in Piemonte. Perché noi i giovani non li consideriamo soprammobili: li buttiamo nella mischia. E questo rende la comunità di Italia Viva diversa da tutti gli altri.
Se a questo si aggiunge che sono sinceramente angosciato per ciò che sta accadendo nelle università americane, passate dalla follia ideologica woke alla follia ideologica Maga, si capisce perché accetto volentieri il confronto. Pensandoci bene, poi, woke e Maga sono la stessa cosa, sono i due rovesci della stessa medaglia, il fanatismo. E il fanatismo è il contrario dello studio, della ricerca, dell’università.
Andiamo con ordine. Cerasa chiede di rispondere solo alla domanda sul campo largo. Come può Renzi allearsi con i grillini o con la sinistra radicale dopo quello che si sono detti e che su molte cose continuano a dirsi? Messa così farei fatica pure io a giudicare credibile un’alleanza. E penso che questo spieghi anche i dubbi che gli altri, Cinque stelle and company, nutrono nei nostri confronti.
Perché, attenzione, bisogna sempre mettersi anche nei panni degli altri, per capire le ragioni degli altri. Altrimenti si diventa fanatici (il fanatico è un punto esclamativo ambulante, diceva Amos Oz) e io invece credo nel compromesso, alto e nobile, come metodo della politica.
Allora prima di entrare nel merito della domanda secca posta agli universitari io chiedo: quanti hanno letto tutta l’intervista (lunghissima, lo so) che Maurizio Crippa mi ha fatto? Se non si coglie il quadro di insieme, è impossibile rispondere alla domanda sulla coalizione.
La mia tesi, che vi riassumo un po’ tagliata con l’accetta, è semplice: il mondo di oggi ha bisogno di politica. Per rispondere alle guerre, serve la diplomazia cioè la politica. Per contrastare gli scontri commerciali, serve il negoziato cioè la politica. Per affrontare il futuro serve l’innovazione, cioè la politica. Per bloccare i sovranisti serve il buon senso, cioè la politica.
Se serve la politica significa che più Trump fa i numeri, più serve un’Europa forte e coesa. Per un’Europa forte e coesa, serve che l’Italia stia al tavolo con Francia e Germania anziché a fare i giochi senza frontiere del sovranismo con rumeni, polacchi, spagnoli e gli immancabili centri migranti albanesi. Per un’Italia che stia al tavolo, serve mandare a casa Giorgia Meloni perché la statista della Garbatella in politica estera sta facendo ancora peggio che in politica interna. L’influencer riesce a incidere nelle redazioni dei giornali ma non tocca palla nelle cancellerie. Guardate anche ciò che è accaduto nell’ultima settimana: avendo organizzato un evento bluff con Vance e von der Leyen lei ha detto che l’Italia sarebbe stata il ponte tra Stati Uniti ed Europa su dazi e pace e che si sarebbero svolti colloqui di pace in Vaticano. Perfetto, i media ci hanno creduto tutti. l’incontro è stato talmente importante che subito dopo Trump ha portato i dazi anti Europa al 50 per cento e sono saltati gli incontri in Vaticano con la Santa Sede che ha raccomandato “prudenza nell’esporre il Papa”. Come dire: non fatevi pubblicità con il nome di Leone, grazie. La Meloni un ponte? Un ponte levatoio, dai.
Nel frattempo a livello interno Giorgia Meloni sta facendo un’operazione devastante nel silenzio di larga parte delle redazioni e di larga parte delle opposizioni. Ha comprato un software potentissimo e casualmente è finito intercettato il direttore di un sito che fa inchieste contro i giovani Fratelli d’Italia. Casualmente, si capisce. Ha esercitato il golden power, che è la bomba nucleare per chi crede nel libero mercato, contro una banca italiana per fare un piacere alla Lega, interessata – chissà perché – a Bpm. Ha promosso leggi ad personam contro gli avversari politici intervenendo sullo status di singoli membri dell’opposizione, con un emendamento notturno tipico dei regimi sudamericani. Ha lasciato che il ministero della Giustizia si mettesse a disposizione del sottosegretario Delmastro nel coprire un fatto su cui lo stesso sottosegretario è sotto processo. Ha sporcato l’immagine dei nostri servizi segreti mettendo a disposizione di un criminale violentatore un aereo di stato per riportarlo in Libia e farlo fuggire dall’ordine di arresto della Corte penale internazionale, ordine di arresto che sarà adesso eseguito dai libici raggiungendo l’incredibile record di farsi superare in credibilità internazionale dalle tribù libiche post Gheddafi. Ha definito toghe rosse dei magistrati di lungo corso, peraltro in gioventù vicini al Msi e comunque da sempre impegnati contro la mafia, facendo passare alla Rai veline sui voli di stato per i giudici sotto scorta: come dire il volo di stato lo diamo ai criminali libici, lo diamo alla Santanchè e a Lollobrigida per andare a El Alamein, ma non lo diamo a chi vive sotto scorta per la mafia. Ha deciso di non far discutere la legge di Bilancio in modo pieno dal Parlamento, svuotandola di contenuti con maxi emendamenti in una notte di metà dicembre e impedendo letteralmente al Senato di poter neanche parlarne: la sua concezione di democrazia parlamentare concepisce i gruppi parlamentari come una delegazione di schiaccia bottoni che non possono fiatare, pena reprimende pubbliche e private. E non è un caso che persino la separazione delle carriere viene discussa dalle Aule come fosse un decreto legge da ratificare e non una modifica costituzionale su cui discutere. Eppure non si trova un commentatore che abbia il coraggio di aprir bocca su questi temi.
Il mondo di oggi ha bisogno di politica. Per rispondere alle guerre, serve la diplomazia cioè la politica. Per contrastare gli scontri commerciali, serve il negoziato cioè la politica. Per affrontare il futuro serve l’innovazione, cioè la politica. Per bloccare i sovranisti serve il buon senso, cioè la politica
Una premier che mente su questioni di sicurezza planetaria e usa i servizi segreti per regolare rapporti interni, che mente ai partner stranieri come ha fatto a Tirana con Macron e Merz, che è stata sostituita dalla Polonia nel gruppo di testa dell’Unione europea e che ha cambiato idea talmente tante volte su tutti, dall’euro a Putin, dalla Nato alle trivelle, che rispetto a lei un voltagabbana è un uomo coerente.
Meloni ha fatto cose che non sono mai state permesse (giustamente) a nessuno. Ma siccome lo fa con modini felpati e sorrisi smaglianti tutto le viene concesso. La dico piatta: Meloni si è già presa i pieni poteri. E chi la critica viene manganellato personalmente e mediaticamente.
Avete letto bene: usare gli strumenti finanziari, istituzionali, parlamentari per fare ciò che sta facendo Meloni non ha precedenti.
O meglio Salvini teorizzò il suo diritto di fare tutto questo, quando chiese i pieni poteri. E non è un caso che proprio in quel momento io feci un accordo con i Cinque stelle.
Vi sblocco un ricordo, cari amici universitari: Era l’estate di sei anni fa e forse voi andavate alle medie o iniziavate il liceo. Nella calda estate del 2019 forse eravate a ballare sulle note di Senorita o di Dove e Quando o di qualsiasi altro tormentone estivo. Al Papeete di Milano Marittima l’allora ministro dell’Interno chiedeva pieni poteri in costume, con un mojito in mano e circondato da cubiste e gente a ballare. E comunicava al paese che lui aveva deciso: si vada a elezioni anticipate e fra tre mesi sarò premier.
Chiedere i pieni poteri in quel modo suscitò un’onda sdegnata di rabbia. E persino io, che vivevo in quei giorni con i Cinque stelle che ironizzavano sull’arresto dei miei genitori facendomi il segno delle manette in Aula (uno scandalo totale: arresto giudicato illegittimo, peraltro. E i miei oggi assolti per quell’accusa), scelsi di fare l’accordo. Perché la politica non può essere fatta sulla base delle simpatie ma dell’interesse del paese: bloccare quel Salvini lì, allora, era una necessità. Lui chiedeva i pieni poteri.
La Meloni non ha chiesto i pieni poteri: se li è presi. Approfittando delle divisioni del centrosinistra. e mettendo il nostro paese su un binario morto. Io non mi rassegno. E siccome so che per mandarla a casa io sono necessario ma non sufficiente, devo oggettivamente creare le condizioni di un accordo.
A Luigi dico che tutte le riflessioni filosofiche sul centro liberal-democratico sono suggestive ma ci pagano per far politica, non per fare i commentatori. E un politico che non incide non è un politico ma un velleitario analista, come del resto sono velleitari analisti i tanti che teorizzano l’esigenza di una rivoluzione libdem dai loro pc con tante idee e pochi voti.
A Davide dico che certo non sono più il Royal Baby di cui parlava Giuliano Ferrara oltre dieci anni fa, immaginandomi come erede di Silvio Berlusconi. Non sono mai stato royal, non sono più baby: saper accettare che viviamo in un tempo diverso è fondamentale. specie per chi ha avuto responsabilità. Sai, caro Davide, io sono molto orgoglioso di quello che ho fatto in quegli anni e sarei pronto a discutere con chiunque nel merito. Ma sono anche orgoglioso del fatto che ho accettato psicologicamente di non essere un nostalgico, un reduce. Io vivo oggi, nel presente. Cercando di costruire il futuro. Al passato dico grazie, al futuro dico sì come ci insegnava un grande statista quale Dag Hammasrkjold (a proposito, ragazzi, andate a leggere la sua storia)
A Samuele dico che è proprio il realismo che mi guida. So benissimo che ci sono divisioni profonde a sinistra (le stesse che a destra vengono mascherate con abilità e cinismo). Ma proprio perché insanabili nel merito tocca provare a fare un accordo su quattro cinque cose. Magari non ci si farà, ci sta. Ma non provarci sarebbe un errore politico.
Che poi nei fatti è quello che scrive Aurora che condivido da inizio a fine. Perché parliamoci chiaro: nessuno vuole un’alleanza a prescindere. Ma come scrive lei: “Serve una proposta solida con un programma politico chiaro, anche se naturalmente tutto ciò non è semplice. Le coalizioni non sono fusioni, ma alleanze tra identità diverse, che si mettono insieme per raggiungere un obiettivo comune, cioè sfidare un governo che oggi, in assenza di una vera opposizione unita, continua a rafforzarsi”
La Meloni non ha chiesto i pieni poteri: se li è presi. Approfittando delle divisioni del centrosinistra. e mettendo il nostro paese su un binario morto. Io non mi rassegno. E siccome so che per mandarla a casa io sono necessario ma non sufficiente, devo oggettivamente creare le condizioni di un accordo
Quanto alla lettera di Gerardo spero anche io che il Pd faccia il baricentro. Non sono convintissimo che ciò stia accadendo ma lavoriamo sempre di più perché questo accada. Nel frattempo quoto le sue parole: “Renzi ha detto ciò che molti pensano e pochi hanno il coraggio di ammettere: o si costruisce un fronte largo e plurale, con il Pd al centro, oppure Meloni governerà indisturbata per un decennio. E a quel punto, le battaglie di principio varranno poco”
Oliver pone correttamente il tema della relazione tra sistema elettorale e bisogno di fare coalizioni. Non è vero che il Rosatellum è il sistema che io ho voluto: io ero per l’Italicum con il ballottaggio. Il Rosatellum fu il compromesso di un Parlamento che per non andare a elezioni anticipate nel 2017 e continuare a cuocermi a fuoco lento si inventò le soluzioni più disparate. E soprattutto più disperate. Attenzione: con il Rosatellum, stavolta, la Meloni rischia di perdere. E siccome lei lo ha capito, sta facendo di tutto per cambiare last minute la legge elettorale. Vedremo se Forza Italia e Lega accetteranno anche questa ennesima umiliazione: io penso proprio di sì, conoscendoli.
Francesca mette il dito nella piaga quando illustra i limiti di un certo centrosinistra, concentrato solo su climate change e diritti civili. Però sui temi di merito si gioca la credibilità di un centro riformista che guarda a sinistra: come portare il nostro sguardo sulla realtà dentro il dibattito programmatico della coalizione è tema fondamentale non solo in Italia. Noi, blairiani non pentiti, crediamo nella tecnologia, nell’intelligenza artificiale, nell’innovazione come strumenti per affrontare temi come il climate change. La tecnologia, non l’ideologia. E su diritti civili e sociali abbiamo sempre preferito fare un passo in avanti con i compromessi a chi resta fermo con i propri slogan.
Paolo parla di Italia Viva senza conoscere le nostre posizioni. E questo mi dispiace, innanzitutto per lui. Dice che noi abbiamo sostenuto le norme pandemiche di questo governo (quali? Abbiamo criticato il voto anti scienza della Meloni che si è unita all’Iran sul tema pandemia contro il resto del mondo), che sul referendum la pensiamo come il governo (io ho voluto il Jobs Act con quasi tutto il Pd mentre contro il Jobs Act c’erano la Cgil e la Schlein ma anche Salvini e Meloni), che sulle riforme istituzionali sosteniamo il governo (magari! Se il governo facesse la riforma che abbiamo presentato come Terzo polo in campagna elettorale, certo che la voteremmo ma al momento la Casellati ha partorito un topolino frettolosamente nascosto in commissione Affari costituzionali della Camera e su cui siamo contrari)
Condivido invece Roberto anche per come sintetizza efficacemente i tanti punti toccato: “Le distanze non vanno negate, ma affrontate con pragmatismo, se si vuole costruire un progetto di legislatura e non una sommatoria di sigle. Non è una strada facile, ma è l’unica che possa davvero rappresentare un’alternativa seria al governo attuale”.
Elia ha ragione quando dice che l’antimelonismo è un collante ma non un programma di governo e proprio per questo serve un lavoro sui contenuti. Sprezzante dice che il 2 per cento è una percentuale residuale e si affida alle emersioni “liberali” stile Boldrin e Forchielli: auguri. Ricordo a me stesso che il 2 per cento in coalizione fa vincere o perdere le elezioni, il 2 per cento da soli non fa neanche il quorum. E’ la differenza che passa tra incidere e testimoniare.
Andrea sogna la ricostruzione del Terzo polo e lo capisco. Specie per chi non ha ancora capito il motivo per cui Calenda lo ha rotto avendo il leader di Azione cambiato versione sul tema almeno una dozzina di volte. In realtà Calenda preferisce perdere da solo che vincere insieme come ha voluto dimostrare alle scorse europee: fossimo andati insieme, come eravamo tutti d’accordo, avremmo eletto sette-otto parlamentari riformisti. Andando divisi, al nostro posto sono entrati sette-otto parlamentari populisti. Il responsabile di questa scelta ha un solo nome. Quanto al futuro: se Calenda ha voglia di far parte di questo centro che guarda a sinistra, come lo chiamava De Gasperi, non c’è nessun personalismo che possa impedirgli di lavorare insieme. Se viceversa continua a dire che Meloni è bravissima in politica estera, come ha sostenuto Azione tributandole un’indecorosa ovazione al congresso, penso che sarà dificile trovare un accordo alla luce di ciò che ho scritto all’inizio di questo articolo.
Infine Fabio che cita il noto detto di Croce che dice che l’unico politico onesto è il politico capace. Competente. Ma essere capace non significa conoscere i dossier. Significa incidere. Noi possiamo essere più preparati di tutti gli altri ma se siamo fuori dal Parlamento europeo e gli altri invece sono dentro la colpa è nostra. Il politico capace è quello che conosce i dossier ma che prende anche i voti sufficienti a stare in Parlamento e fare la differenza. Chi non incide non è un politico ma un commentatore. E noi vogliamo scrivere le leggi, non le analisi.
Potremmo continuare a lungo a confrontarci e discutere. Rimane un fatto. L’Italia viene da ventisei mesi di produzione industriale negativa. Nel 2024 sono fuggiti quasi duecentomila cittadini all’estero, record storico. Nello stesso anno abbiamo visto crescere il debito pubblico, le liste d’attesa e la pressione fiscale. E nel frattempo è sceso il potere d’acquisto.
Davanti a questa situazione io penso che si debba cambiare strada e cambiare passo. E vorrei che gli universitari sognassero di aiutarci a cambiare il paese anziché andarsene cambiando paese. Tutta la mia attività dei prossimi mesi sarà concentrata nel restituire la speranza a quel centro riformista di cui in tanti parlano. Ma credo che la tenda di questo centro, piccolo o grande che sarà, non potrà che essere nel centrosinistra. Sarò ben felice di continuare questo dibattito a distanza. E fin da ora invito tutti alla Leopolda di inizio ottobre e alla nuova edizione di Meritare l’Europa. Perché per noi i ragazzi che studiano meritano tempo, rispetto, ascolto: con loro vogliamo tornare al governo del Paese. Contro l’arroganza e l’ignoranza di chi ragiona per partito preso, sulla base dell’ideologia, contro la realtà.
Matteo Renzi
senatore, presidente di Italia Viva