L’ultima nota stonata della Serie A 2024/2025 è il possibile addio dell’allenatore. E lo strafalcione della Lazio che dà via libera alla salvezza del Lecce e rinuncia alle manifestazioni continentali
È finito il campionato, viva il campionato. Romelu Lukaku e Joaquín Correa lo hanno onorato al massimo fino alla fine, segnando contemporaneamente a settecento chilometri di distanza, e celebrando la festa del calcio comunque sia andata a finire: venti volte in testa il Napoli, nove l’Inter spiegano la via dello scudetto. Altro che proverbiale scaramanzia: lo striscione con il numero 4 era stato esposto dagli spalti del Maradona al 90° minuto di una partita spezzettata e surreale, prima che Scott McTominay la stappasse. Il timbro sopra il torneo è suo, dominante e determinante come è mancata ai nerazzurri una pari scintilla a centrocampo, che il saggio Henrikh Mkhit’aryan non è più in grado di offrire. Il Como di Cesc Fàbregas (resta? Va?), bello come sempre e come il Bologna con la sua coccarda, si è schierato con tre terzini destri, come a un fantacalcio del 2003: Pepe Reina dice addio alla sua carriera con un’espulsione, ma pochi fanno notare che senza il fallo Mehdi Taremi sarebbe andato in porta. Segnali positivi in vista della finale di Monaco.
La simultanea stacca in panoramica sopra Castel dell’Ovo, le strade circostanti lo stadio di Fuorigrotta ribollono di fuoco e di artifici: Aurelio de Laurentiis attende il suo turno mentre Lukaku abbraccia Antonio Conte in favor di telecamera, quando il colosso si scioglie il presidente si stringe all’allenatore. Le riprese indugiano a carpire dettagli, invano cercano mezze parole a mano lontana dalla bocca, prima che si avveri la maledizione azzurra. Perché a Napoli si sta un anno, si vince poi si va via? Perché non si riesce a costruire e consolidare nel tempo, se in panca ci sono tecnici “ingombranti” come Conte e, prima di lui, Luciano Spalletti? La politica societaria non garantisce competitività (anche) europea, dicono: ciò non spiegherebbe il probabile acquisto dello stagionato Kevin de Bruyne, avvezzo a calpestare zolle contigue a quelle del braveheart scozzese.
Più che gli arrivi, è il rischio di dover (voler) cedere qualche titolarissimo, a spaventare colui che ha portato a regime la squadra introducendo al massimo un cambio per reparto (Leonardo Spinazzola, Billy Gilmour, David Neres) allo spartito iniziale, e solo causa infortuni. Conte ricorda com’era cominciata, una scoppola agostana per tre a zero a Verona, una sagra del contropiede nella quale i suoi uomini non pareva fossero scesi in campo. Chi avrebbe potuto pronosticare questo esito?
La finale di Champions, comunque vada, ribadirà che l’addio di Kvicha Kvaratskhelia è e resterà una ferita, il vero big bang dei ripensamenti del mister. Al quale evidentemente non va giù il fatto che se c’è da sacrificare un campione, lo si faccia: come per i mancati arrivi di Juan Manuel Iturbe e Juan Guillermo Cuadrado alla Juve, o analoghe richieste all’Inter, ora “a Napoli non si può fare” (ipse dixit). Quindi s’impunta, e forse se ne va, nel mezzo del gran pavese a Montesanto che durerà come sempre fino al prossimo scudetto. Se non è una nota stonata, manco suona perfetta al diapason.
A proposito, l’ultimo strafalcione è tutto della Lazio, che dà via libera alla salvezza del Lecce e rinuncia alle manifestazioni continentali, a portata di mano invece per tutta la stagione: non è che a Claudio Lotito interessasse solo il bottino grosso, e di quello intermedio o minimo non sa economicamente cosa farsene, dovendo comunque stipendiare le alternative per sessanta partite? La sua tifoseria l’ha battezzato da tempo, certo è che nelle more del punteggio della Juventus (che se l’è vista brutta a Venezia, ma una difesa senza Pierre Kalulu, Federico Gatti e Gleison Bremer non è cosa) gli spalti dell’Olimpico hanno sperato di vedere qualcosa di più.
Invece è stato Moise Kean, a Udine, a negare il passaporto per la Conference League: il centravanti della Fiorentina e della Nazionale, mai così decisivo in precedenza, è la seconda firma che rimarrà impressa riavvolgendo il nastro di questa stagione, accanto al nuovo idolo di Napoli. Per la foto di gruppo del palmarès manca solo il verdetto bavarese, ad ora incerto per forza di realtà: poi -in un’estate dispari- sarà calciomercato, lo sport delle illusioni che gli italiani preferiscono al calcio stesso. E mentre ci si chiede perché un campione cristallino come João Félix debba abbandonare una grande squadra come il Milan dopo poche partite, il campionato è davvero finito: era ora.