La procuratrice di Herat, ospite a Roma di Fondazione MedOr e Luiss School of Governement, sollecita l’Occidente per i diritti della donne afghane. “È in corso una apartheid di genere”, dice Maria Bashir
Avviluppate nel silenzio, rese fantasmi in burqa. Per loro parlare è vietato. “Amplificare le voci delle donne afghane”, dice Maria Bashir coperta da un morbido velo shayla. Procuratrice di Herat, Bashir parla in lingua dari – iranico sudoccidentale – e con lei risuona l’eco delle voci delle altre. Ovvero delle donne di Kabul che, per le leggi in vigore da quasi quattro anni, non proferiscono verbo in pubblico. “Guerriere silenziose”, le chiama quindi la donna, ospite a Roma, oggi, all’università Luiss Guido Carli.
“Afghanistan. Donne. Sharia. Una straordinaria testimonianza” è l’incontro organizzato da MedOr Italian Foundation e Luiss School of Government. Al centro è la storia di una “donna, magistrato, madre, che ha sacrificato tutto ai principi di libertà e uguaglianza”. Così la presenta il presidente di MedOr Marco Minniti, che riassume il senso dell’incontro in un gemellaggio ideale. Ossia nel “personale convincimento” che le immagini tragiche di afghani in fuga, nel 2021, avessero convinto taluni che l’Occidente potesse essere sconfitto, che fosse in rotta. “Qualcuno ha aperto il fronte dell’Ucraina – dice l’ex ministro dell’Interno – pensando che dopo Kabul ci sarebbe stata un’altra kappa. E che quella kappa si chiamasse Kiev”. A riprova di come, in pace e in guerra, i destini umani siano vieppiù legati; di come il mondo – e la libertà delle donne, in shayla o in minigonna – sia “interconnesso” nella tutela dei diritti umani.
La parola chiave per il professore Gaetano Quagliariello, decano della Luiss School of Government, è quindi “rispetto”: “non tolleranza paternalistica, ma rispetto e parità”. Valore al centro dell’iniziativa del ministero della Difesa, ricordata in apertura dall’avvocato Federica Mondani, che nel 2021 , proprio insieme alla procuratrice afghana, analizzava le prospettive di genere delle operazioni militari.
Maria Bashir, nata nel 1970, in cinquantacinque anni ha vissuto stagioni incommensurabili della vita nel suo paese. Ha studiato legge a Kabul, ha iniziato negli anni Novanta la carriera di giudice, ha poi subito una prima battuta d’arresto, nel ’96, con l’ascesa al potere del regime talebano. Quando – avanzando mascherata – offriva insegnamento clandestino a giovani donne, in casa sua. Una fase di latenza, o di inabissamento, nella quale le era preclusa la voce ma non il pensiero.
Nel 2001, con la caduta del regime, il suo volto ritrova diritto di cittadinanza. Nel 2006, Maria Bashir è la prima donna procuratrice generale della provincia di Herat: guerriera, affatto silenziosa, contro la violenza domestica e i matrimoni forzati. Le minacce la strappano via via al suo paese sinché, nel 2021, con il ritorno al potere dei talebani – proprio nei giorni in cui si rincorrono le immagini di afghani abbarbicati agli aerei, di civili disposti alla fuga mortale sulle ali, di uomini e donne animati dal terrore – Bashir raggiunge l’Europa. Ed ecco. Oggi i suoi figli studiano in Germania, mentre lei continua dall’Italia a sollecitare l’Occidente. A pungolare le coscienze sopite del mondo libero. Contro “l’apartheid di genere”, come la chiama, e cioè contro la segregazione sessuale che vieta alle donne le cure mediche e l’accesso al sistema giudiziario.
Dall’Italia, di cui è cittadina dal 2021 per “meriti speciali”, Bashir non smette di alzare la voce contro il giogo della “virtù”. Contro la distopia della “purezza” che scaccia le ragazze dalla vita pubblica e serra le porte all’istruzione non meno che ai centri estetici.
La sharia non è solo un male in sé, spiega la procuratrice di Herat, ma anche “una catastrofe sociale”. Un cataclisma culturale che ha spinto le donne istruite nelle forre dell’angoscia. Nell’incubo di un futuro rubato. Una disgrazia che ha rimpicciolito i confini di un paese – esso stesso più povero, poverissimo – saccheggiato ora della sua metà. “L’indifferenza globale rafforza la tirannia”, è la sintesi appassionata, non disperata, di Bashir. Donna, magistrato e madre che parla a noi, Occidente, affinché non rischiamo di essere invisibili. Silenziosi come le donne afghane. Non per proibizione ma per apatia.