Il calo dello spread italiano sorprende, malgrado la crescita debole e l’alto debito. A influenzare i mercati sono attese sui tassi, sfiducia sul dollaro e rigore nei conti pubblici
Il recente calo del differenziale tra i tassi d’interesse (lo spread) sui titoli di stato italiani e tedeschi su livelli intorno ai 100 punti base, raggiunti nell’ultimo decennio solo brevemente nel 2016 e nei primi mesi del 2021, appare per certi versi sorprendente. Sorprende perché le recenti previsioni, sia del Fondo monetario internazionale sia della Commissione europea, hanno rivisto al ribasso la crescita economica dell’Italia e indicano un debito pubblico italiano ancora in aumento per il prossimo biennio (dal 135,3 per cento del pil alla fine dello scorso anno al 138,2 per cento a fine 2026). Inoltre, i rendimenti sui Bund tedeschi sono aumentati di circa 60 punti dall’inizio dell’anno, circostanza che in passato aveva provocato un allargamento dello spread.
Evidentemente i mercati finanziari stanno guardando anche ad altri fattori. Il primo riguarda l’evoluzione dei tassi d’interesse a breve termine nell’area dell’euro. I mercati anticipano che la Bce tagli nuovamente i tassi di politica monetaria ai primi di giugno, di 25 punti base, e almeno un’altra volta in autunno. In tale contesto, con i tassi a breve termine inferiori a quelli a lungo, gli operatori hanno un incentivo a indebitarsi a breve per investire sulle scadenze più lunghe – il cosiddetto carry-trade – che produce una pressione al ribasso sui rendimenti a lungo termine. Questo fenomeno si verifica soprattutto sui titoli di stato con rendimenti più elevati, come quelli italiani e greci. Il secondo fattore è la crescente sfiducia che si sta manifestando sui mercati nei confronti del dollaro, soprattutto a seguito della dinamica insostenibile del debito americano e degli attacchi portati dall’Amministrazione Trump nei confronti della Federal Reserve, che ha spinto i capitali verso l’Europa, facendo apprezzare l’euro e premiando i titoli europei con rendimenti più alti.
Il terzo fattore è l’impostazione prudente della politica di bilancio italiana, che ha interpretato con rigore le nuove procedure del Patto di Stabilità. Nei prossimi anni la spesa pubblica è prevista in crescita meno di quanto consentito dalle nuove regole. Ciò consente di migliorare il surplus primario – ossia il deficit pubblico al netto del pagamento degli interessi sul debito – che rappresenta un indicatore molto importante per la sostenibilità del debito pubblico.
L’altro indicatore rilevante per i mercati riguarda il disavanzo pubblico, che nel 2026 dovrebbe scendere sotto la soglia del 3 per cento del prodotto interno lordo. Se ciò si avverasse, l’Italia uscirebbe dalla procedura di disavanzo eccessivo prevista nell’ambito del Patto di Stabilità. L’impatto sulla percezione dell’Italia da parte degli investitori sarebbe molto positivo, per due motivi. Innanzitutto, si confermerebbe la capacità del governo di risanare le finanze pubbliche del paese. Inoltre, diventerebbe più facile l’accesso dell’Italia all’ombrello monetario della Bce, sotto forma di interventi anche illimitati in acquisto di titoli di stato nel caso di attacchi speculativi (il cosiddetto Transmission Protection Instrument). L’utilizzo di questo ombrello è condizionato a una valutazione della sostenibilità del debito pubblico del paese. Tale giudizio non può che essere favorevole per i paesi che non sono più sotto procedura di disavanzo eccessivo. In altre parole, una volta che il disavanzo pubblico passa sotto la soglia del 3 per cento, i mercati finanziari attribuiscono al debito del paese un bonus aggiuntivo. E’ ciò che è successo al debito del Portogallo, dell’Irlanda e della Grecia, che hanno registrato negli anni recenti un calo del rischio, scendendo sotto quello italiano.
L’ultimo fattore che agisce in modo favorevole sui mercati riguarda la crescita economica italiana, che per i prossimi anni viene prevista sostanzialmente in linea con la media europea. Sembra in parte superato il pessimismo sull’economia italiana del passato decennio, quando il ritmo di crescita era sistematicamente inferiore a quello degli altri paesi europei. Ciò è in parte dovuto al sostegno fornito dal Pnrr. In sintesi, la riduzione del differenziale d’interesse italiano, che consente di risparmiare ingenti risorse finanziarie, è legata in parte a fattori esogeni e di natura temporanea ma anche a scelte di politica economica nazionali, che bisogna tuttavia proseguire nel tempo se si vogliono cogliere appieno i frutti degli sforzi fatti finora. L’esperienza, in particolare quella recente degli Stati Uniti, mostra che ci vuole tempo e impegno per guadagnarsi la fiducia dei mercati. Ma anche che basta poco per perderla.