Il campionato più bello del mondo

Napoli e Inter. Una soffre, l’altra gioisce. Ma c’è un dato che metterà tutti d’accordo: nessuno, negli ultimi anni, ha entusiasmato come la Serie A. Lo dicono i numeri e qualche storia da dedicare ai catastrofisti

Quando leggerete questo articolo, a differenza nostra, che questo articolo lo abbiamo scritto prima ancora di conoscere i risultati di ieri sera, avrete chiaro chi, tra Napoli e Inter, dovrà disperarsi, chi dovrà recriminare, chi dovrà piangere, chi dovrà guardare avanti, chi dovrà ripensare alle occasioni perse, alle opportunità non sfruttate, ai passaggi decisivi del campionato rivelatisi infine fatali. Quello che però possiamo dire, senza possibilità di essere smentiti, riavvolgendo il nastro della stagione, è che il calcio italiano, a prescindere da chi ieri sera ha gioito e da chi ha sofferto, si trova in una condizione molto diversa rispetto a come lo stesso calcio italiano è percepito nel nostro paese. I guai ci sono, lo sappiamo, e sono guai che riguardano aspetti importanti, come la presenza di un sistema di infrastrutture calcistiche non all’altezza della Serie A, come la presenza di una Nazionale di calcio non all’altezza della sua storia, come la presenza di molte squadre indebitate, come la presenza di ricavi dai diritti televisivi inferiori alla media dei grandi campionati europei, come l’assenza di talenti in grado di poter competere con la generazione dei Lamine Yamal. Ma nonostante questo, anche se sappiamo che il nostro amico Jack O’Malley non sarà d’accordo con noi, il campionato italiano ha dimostrato di essere il più bello del mondo. Tanto per cominciare, nessun campionato europeo si è ritrovato nelle condizioni in cui si è ritrovato in queste ore il campionato italiano, e nessun campionato europeo, per capirci, è stato così equilibrato e dunque così competitivo da dover arrivare all’ultima giornata per capire qualcosa di più, diciamo così, sul titolo, sulle coppe europee, sulle retrocessioni. L’Italia, senza ombra di dubbio, è stato il campionato più interessante a livello europeo, e l’imprevedibilità dei risultati è ormai una costante nel tempo ed è un fattore cruciale che rende i campionati come il nostro più affascinanti, più sorprendenti, più spettacolari.

Lo ha fatto, la Serie A, con risorse limitate rispetto a colossi come le squadre inglesi. Lo ha fatto riempiendo gli stadi come non mai (nella stagione 2024/2025, la Serie A ha registrato una media spettatori di circa 31.000 per partita, il miglior risultato degli ultimi 32 anni, con un tasso medio di riempimento degli stadi del 92,24 per cento, in crescita rispetto all’83 per cento della stagione precedente, in Premier League la media è stata superiore, 40 mila, in Bundesliga di 38 mila, nella Liga spagnola 29 mila, nella Ligue 1 francese 28 mila). Lo ha fatto, si diceva, con storie ovviamente di successo come quelle di Napoli e Inter, nel primo caso con un presidente come De Laurentiis che ha creato un modello di business grazie al quale, scommettendo sulle plusvalenze, ha tenuto in attivo la società, senza avere uno stadio di proprietà, senza avere un vivaio su cui scommettere, e nel secondo caso con una società e un presidente, come Marotta, che è riuscito a trasformare in oro giocatori che sembravano dei brocchi, che è riuscito a tenere in ordine un bilancio difficile da gestire, che è riuscito a portare ad alti livelli una squadra che aveva pochi soldi da investire. E lo ha fatto, la Serie A, anche facendo altro. Anche mettendo in campo una serie di modelli interessanti da studiare, come quello del Como, come quello dell’Empoli, come quello del Bologna, come quello dell’Udinese, come quello dell’Atalanta, che è la squadra che vanta uno dei migliori bilanci in Europa. Lo ha fatto tornando a essere un contesto in cui investire (nella stagione 2024-2025, 11 delle 20 squadre di Serie A sono di proprietà straniera, tre anni fa, nel 2022, erano 7 su 20).

Lo ha fatto riuscendo a mantenere una costante nel tempo in termini di risultati ottenuti, in Europa, dalle squadre italiane. I club italiani, rispetto a quelli inglesi, hanno un terzo dei ricavi, ma dai risultati non si direbbe. Nel 2022-2023, tre squadre italiane (Inter in Champions, Roma in Europa League, Fiorentina in Conference) hanno raggiunto tre finali europee su tre, e non accadeva da oltre trent’anni. Negli ultimi tre anni, nessun paese ha raggiunto così tante finali come l’Italia (sei, contro le cinque inglesi, le tre spagnole, le due tedesche, anche se poi il numero maggiore di titoli è quello dell’Inghilterra, tre compreso il Tottenham). Lo hanno fatto senza talenti assoluti, ma costruendo percorsi vincenti con politiche di scouting intelligenti, gestione delle risorse oculata, e un valore tecnico e tattico che si riflette anche in quella che è un’eccellenza del calcio italiano nel mondo: i suoi allenatori. Non è un caso che, rispetto al tema della formazione degli allenatori, Coverciano resti una delle accademie più prestigiose al mondo. E non è un caso che, ad alti livelli, gli allenatori italiani siano quelli tra i più presenti.

In Seria A, gli italiani sulle panchine sono l’80 per cento. Nella premier, gli inglesi sulle panchine sono il dieci per cento. In Bundesliga, i tedeschi sulle panchine sono il 50 per cento. In Spagna, gli spagnoli sulle panchine sono il 70 per cento. In Francia, i francesi sulle panchine sono il 40 per cento. E a questo va aggiunto anche un dato rilevante: pochi paesi hanno così tanti allenatori di livello in giro per l’Europa e per il mondo (Carlo Ancelotti, come sapete, è appena passato dal club più importante d’Europa, il Real Madrid, alla Nazionale più importante del mondo, ovvero il Brasile). Dopo lo spettacolare turno dominato dalla contemporaneità della scorsa settimana, spettacolarità che andrebbe forse riproposta in modo meno episodico, in modo più strutturato, trasformandola in un grande evento unico, il New York Times ha scritto che la Serie A ha dimostrato di essere il campionato più avvincente, coinvolgente e divertente d’Europa. “In mezzo alle congetture più ricorrenti su quale sia il campionato ‘migliore’ al mondo – ha scritto il Nyt – la massima serie italiana ha avuto quattro vincitori diversi in cinque anni”. La spettacolarità del calcio italiano, nonostante l’impegno e la buona volontà dei suoi vertici, non ha trasferito sul conto economico della Serie A le sue qualità (negli ultimi due anni, in Italia, il valore complessivo dei diritti domestici, così si chiamano, si è attestato intorno agli 840 milioni di euro l’anno in Premier League si viaggia oltre i 2 miliardi l’anno solo per il mercato interno, la Liga spagnola ha rinegoziato al rialzo i suoi diritti mantenendo ricavi oltre il miliardo, e anche Bundesliga e Ligue 1, pur con oscillazioni, restano sopra la Serie A). Ma difetti a parte una certezza c’è: a prescindere da chi oggi avrà la forza di esultare per i risultati di ieri sera, spiace per Jack O’Malley, ma in Europa il vero scudetto quest’anno è della Seria A. E se un giorno vi saranno stadi in grado di trasformare in oro il talento del calcio italiano, e se vi saranno allenatori in grado di trasformare in oro i talenti del calcio italiano anche in Nazionale, si potrà avere qualche elemento in più per essere ancora più ottimisti sul futuro. Lunga vita alla Serie A: lo scudetto che conta, quest’anno, è il suo.

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  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.

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