L’ex campionessa prevede Parigi: “Jannik mentalmente è il più forte, gestisce in maniera incredibile la pressione ma per il Roland Garros scelgo Alcaraz che è più disciplinato e non forza tutto al quarto, quinto colpo”
John McEnroe disse di Chris Evert che “era un’assassina ben vestita che diceva le cose giuste, mentre ti faceva a pezzi”. Per gli altri era ‘The Ice Maiden’, la Principessa di ghiaccio, per quel serrato controllo delle emozioni. Infine, per Martina Navratilova era la rivale, la compagna di pranzi prima delle finali, ma soprattutto un’amica lontano dai campi da tennis e punto di riferimento quando le loro vite si sono incrociate alle prese con due forme di tumori diversi.
Chris Evert oggi ha 71 anni, il pensiero dei suoi 18 Slam vinti, ammette, la fa “sentire molto vecchia e in effetti lo sono”. I capelli biondi e lisci, legati in quei nastrini che hanno dettato moda, sono scomparsi. In call si presenta con la chioma più corta, nascosta in un cappellino con dettagli arancioni, il viso che porta i segni del tempo e le mani curate. È ironica, ride spesso, non deve più celare la sua indole come le aveva raccomandato suo padre. Adesso è nonna e commentatrice del tennis di Warner Bros. Discovery, che in Italia trasmette il Roland Garros (in esclusiva su Eurosport e in versione integrale su Discovery+). Nel 2024 ha festeggiato i 50 anni dalla sua prima vittoria sulla terra parigina, nel 1974. E così quando parla del Roland Garros (ha collezionato 7 successi) le brillano gli occhi. “Ripenso a quella ragazza che arrivò a Parigi. Il primo anno, in finale (nel 1973, ndr), ero in vantaggio con Margaret Court: avevo la partita in mano, avrei dovuto vincere, ma l’esperienza ebbe un ruolo importante. Ero giovane e semplicemente… non capivo il significato di una vittoria, non capivo cosa significasse trionfare in una prova dello Slam. Ho ricordi meravigliosi, come se il campo Philippe Chatrier fosse mio: non mi paragono a Rafael Nadal, ma nel mio piccolo, sentivo che quando entravo lì, potevo battere chiunque. Ero potente, il mio gioco era adatto alla terra. All’epoca credo che il pubblico non amasse il tennis femminile, erano presi da Nastase, Borg e Connors. Appena siamo arrivate io e Martina le cose sono cambiate, hanno apprezzato la nostra rivalità, come dopo con Graf e Seles”.
Poi, si è evoluto il movimento femminile e si è innalzata la qualità, fino al livello di oggi, molto diverso dai suoi tempi. “Abbiamo costruito un circuito nei primi anni ‘70 e quello era il nostro focus, gli Slam non erano la priorità: lo scopo era permettere a 200/300 donne di guadagnarsi da vivere. Oggi, le giocatrici sono atlete migliori di quanto non lo siano mai state: penso che ci siano donne, come Sabalenka, che passino ore in palestra e colpiscano la pallina anche più forte degli uomini”. Tornando invece alla sua epoca, a parte il celebre aneddoto del gioiello di diamanti perso agli Us Open 1978, da cui nacque il nome di ‘bracciale da tennis’, ne racconta un altro legato a Parigi. “Stavo sempre in hotel, non uscivo molto. Una volta Philippe Chatrier portò me e mia madre al ‘Lido’, avevo 18 anni. Mai vista una cosa del genere, un night club con donne in topless. Uno shock! Ho sempre avuto un vero amore per quella città: la Torre Eiffel, il Louvre, i caffè all’aperto… una delle mie preferite, in Europa, insieme a Londra. Ho un legame speciale perché la terra era la mia superficie. Il successo del 1985 contro Martina Navratilova, dopo 13 sconfitte di fila, è il mio Slam preferito. Mi davano per finita, ma ho avuto un ultimo grande trionfo. Dopo tutti quei ko nessuno credeva in me, eppure vinsi. La mia ultima grande impresa”. Più volte, con orgoglio, ricorda quel momento e fa un paragone con Novak Djokovic. “Il tempo non è dalla sua parte. Credo abbia già giocato il suo miglior tennis. So com’è: quando avevo 30 anni, dicevano che non avrei più vinto uno Slam, poi ne ho vinti due, non lo escludo. È più difficile, non puoi essere sempre al 100 per cento. E ci sono troppi avversari che ti possono battere”. Tra chi l’ha fatto diverse volte c’è Jannik Sinner che ha sorpreso Evert dopo la finale di Roma.
L’americana vede Alcaraz favorito sulla terra per attitudini tecniche, ma sull’altoatesino spende belle parole: “Sono rimasta sorpresa che abbia giocato così bene per tutto il torneo, non era nervoso. Mentalmente è il più forte, gestisce in maniera incredibile la pressione… e poi la potenza dei suoi colpi, pazzesco per chi non giocava da tre mesi. Per essere alto si muove pure bene. Per il Roland Garros, scelgo Alcaraz, scivola meglio di tutti. È più disciplinato ora, non forza tutto al quarto, quinto colpo. Sulla terra serve pazienza”. Infine, inserisce Jasmine Paolini nella corsa al Roland Garros insieme a Swiatek, Sabalenka e Gauff: “È incredibile. Perfetta sulla terra. Forse la più versatile, sa fare tutto, ottima a rete, grandi volée, non sbaglia mai. Colpisce con profondità e rotazione. È alta solo 1.63, ma gioca come se fosse 1.90. Ha talento, tenacia, qualità che magari non noti subito”.