Quello del riso è un problema sempre più serio in Giappone

Il ministro dell’Agricoltura giapponese si dimette per una battuta, ma il prezzo dell’alimento principale e più simbolico della dieta nipponica continua ad aumentare. I rischi del governo Ishiba e il ritorno di Koizumi Jr.

Deve essere una prerogativa dei ministri dell’Agricoltura, quella di usare espressioni colorite, esagerate, da “i poveri mangiano meglio dei ricchi” delle nostre parti al nuovo livello raggiunto dal Giappone, “io non compro il riso, i miei sostenitori me lo regalano”. L’ha detto domenica scorsa il ministro dell’Agricoltura del governo guidato da Shigeru Ishiba, Taku Eto, a un evento di raccolta fondi del Partito liberal democratico di governo. “I miei sostenitori me ne regalano così tanto che potrei venderlo”, ha detto Eto, e l’ha detto per ridere, ha spiegato poi. Solo che nessuno lo ha fatto, anzi. Perché da mesi il prezzo del riso continua ad aumentare, sin dall’autunno dello scorso anno ha raggiunto prezzi inauditi – 4.214 yen per 5 chili, poco più dell’equivalente di 5 euro al chilo, il doppio rispetto al 2024 – e il governo, o meglio il ministero guidato da Eto, ha aspettato fino a marzo prima di rilasciare le riserve dai silos d’emergenza per calmierare i prezzi. Per capire quanto sia centrale e simbolico il prezzo del riso in un paese come il Giappone, basti pensare che si usa la stessa parola, gohan, sia per il riso sia per i pasti. E dunque ieri Eto, dopo le critiche che gli sono piovute addosso per l’insensibilità dell’affermazione, si è dimesso.



Davanti ai giornalisti, Ishiba si è scusato pure di averlo nominato ministro. Al posto di Eto, Ishiba ha richiamato l’uomo che sembra essere eternamente sulla rampa di lancio della politica giapponese, ma sempre troppo giovane per avere un ruolo centrale al Kantei, il palazzo del governo di Tokyo: Shinjiro Koizumi, ex ministro dell’Ambiente, piacente, famoso, popolare, e figlio dell’ancor più popolare Junichiro Koizumi. Anche il sessantaquattrenne Taku Eto, parlamentare del Partito liberal democratico di governo dal 2003, come nella migliore tradizione giapponese viene da una famiglia di politici, e ha ereditato il seggio elettorale da suo padre Takami Eto, uomo dell’estrema destra della “Prima Repubblica giapponese” vicino a Shintaro Ishihara, storico sindaco di Tokyo e amico di Yukio Mishima considerato il Jean-Marie Le Pen giapponese. Ieri, Eto figlio ha scelto le dimissioni per ragioni di opportunità: anche sul prezzo del riso – e sugli scandali legati alla corruzione politica del Partito – sta traballando il governo giapponese, e le opposizioni in settimana avrebbero presentato una mozione di sfiducia contro di lui che molto probabilmente sarebbe passata. Il primo ministro Ishiba ha detto che Koizumi è l’uomo giusto per continuare a gestire il problema del prezzo del riso, ma la situazione è a dir poco complicata. Un sondaggio di Kyodo News del fine settimana ha rilevato che l’87 per cento dei giapponesi è insoddisfatto per il modo in cui il governo ha affrontato l’impennata dei prezzi dell’alimento base della dieta nipponica, e l’indice di gradimento dell’esecutivo è ai livelli più bassi sin dal suo insediamento dello scorso ottobre, con le elezioni della Camera alta previste per luglio alle porte e le negoziazioni con l’America sui dazi di Trump ancora in corso.



Secondo gli analisti, che ancora stanno studiando il fenomeno, c’è stata una combinazione di fattori che ha creato la tempesta perfetta del riso giapponese. Da un lato, l’aumento della domanda dovuta al boom turistico nel paese che non era stata prevista dalla grossa distribuzione come effetto post pandemico, motivo per il quale il ministero dell’Agricoltura aveva mantenuto basse le quote di produzione. C’è chi parla di un effetto del disastroso raccolto del 2023, dei cambiamenti climatici e di una incapacità di programmare la raccolta da parte degli agricoltori, ma anche del rischio di un cambio delle abitudini dei consumatori, che si stanno spostando sempre di più verso la pasta e il pane oppure – sacrilegio! – al riso importato non giapponese. A fine aprile circa due tonnellate di riso coreano sono state importate dal Giappone per la prima volta in 35 anni, e sarebbero andate esaurite nel giro di 10 giorni dalla messa in vendita.



L’inedita e storica decisione da parte di Tokyo di rilasciare le riserve di riso a marzo non ha ancora prodotto i risultati sperati dal governo, e secondo i media giapponesi ci vorrà ancora un po’ perché la distribuzione non sta andando veloce come dovrebbe – l’Asahi scriveva ieri che delle circa 210 mila tonnellate di riso immagazzinato e distribuito dal governo in due diverse aste a marzo, a fine aprile erano arrivate ai supermercati e ad altri rivenditori al dettaglio solo 14.998 tonnellate, cioè il 7,1 per cento del totale. Si è data priorità alle strutture governative come scuole, ospedali e carceri, ma nel frattempo i giapponesi hanno sempre più difficoltà a trovare riso a buon mercato, e un ministro che li prende pure in giro non potevano tollerarlo.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: “Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l’Asia”, “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.

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