La polizia federale brasiliana smantella una rete di agenti di Putin, mentre Mosca continua a essere la principale fonte di gasolio per il paese
Il New York Times ha pubblicato una splendida inchiesta sulla fabbrica di spie che la Russia di Vladimir Putin ha costruito in Brasile. L’obiettivo di questi agenti non era quello di spiare le autorità brasiliane, come è accaduto spesso e in molti altri paesi, bensì di “diventare brasiliani”. Li chiamano “illegals”, illegali, e non è la prima volta che operazioni di vasta portata come queste vengono rese note – l’ultima volta è stato nel 2010 negli Stati Uniti: le spie vengono mandate in Brasile (ma anche in altri paesi) per “derussizzarsi”, per avviare attività commerciali e costruirsi una nuova vita, pronti poi per essere mandati altrove, da brasiliani. Da tre anni la polizia federale del Brasile lavora a quella che ha chiamato “Operazione Oriente”, per smantellare la fabbrica della Russia sul territorio brasiliano, scrive il New York Times, dopo una prima informativa della Cia del 2022: a oggi almeno nove spie sono state scoperte e i loro nomi resi noti.
La polizia federale brasiliana è riuscita a portare a compimento il suo lavoro nonostante i tradizionali ottimi rapporti diplomatici del paese con la Russia. E nonostante il 9 maggio scorso il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva abbia avuto riservato un posto speciale per assistere alla parata di Mosca del Giorno della Vittoria. In pratica, mentre i suoi agenti federali identificavano e smantellavano una rete russa che era una minaccia non solo per il Brasile, ma per il resto del mondo democratico, il presidente Lula parlava di cooperazione rafforzata con Putin in Russia e poi volava in Cina da Xi Jinping. Del resto nel 2024 la Russia è diventata la principale fonte di gasolio per il Brasile, con il 63,6 per cento del diesel importato proveniente da Mosca e che rischia di far entrare il paese nel gruppo di quelli sanzionati dall’Unione europea per dare linfa vitale alla macchina da guerra di Putin.