Nel risiko bancario italiano, Unicredit e il suo ad Orcel potrebbero essere l’ago della bilancia tra Mps e Mediobanca, mentre il governo osserva e manovra tra golden power e strategie di mercato
La partita Mps-Mediobanca sta entrando nel vivo e si presenta sempre di più come un campo “affollato” di soggetti in cui, però, uno solo, volendo, potrebbe fare la differenza: Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit. Per quanto il banchiere appaia in evidente difficoltà sulla scalata a Banco Bpm, apertamente contrastata dal governo Meloni, per quanto dalla Germania continuino ad arrivare venti gelidi sul dossier Commerzbank e per quanto si siano diffuse voci di malcontento tra i consiglieri per la sua strategia di crescita a tutto campo ma per adesso senza risultati concreti, Orcel guida una banca che può contare su una tale capienza finanziaria da potersi permettere di fare la mossa decisiva.
Se l’ipotesi di una “soluzione finale” come quella di un’Offerta pubblica su Generali appare come fantafinanza, la possibilità di un posizionamento su Mediobanca è decisamente più credibile. Ed è questa la voce che circola con insistenza in ambienti finanziari, e non solo, a meno di un mese dall’assemblea dei soci di Piazzetta Cuccia del 16 giugno. Assemblea che si annuncia come un referendum sulla proposta dell’ad Alberto Nagel di creare un polo italiano del risparmio gestito al posto di una “Mediobanca da Siena” alias un gruppo bancario misto. Voci di acquisti da parte di Unicredit si erano già propagate nei giorni scorsi quando in Borsa è passato di mano il 10 per cento di Mediobanca. Poi è emerso che la cassa previdenziale Enasarco avrebbe rilevato una partecipazione pari al 2 per cento dell’istituto guidato da Nagel. E il restante 8 per cento a chi è andato? Solo fondi, asset manager, investitori che per diverse ragioni stanno rastrellando per fini speculativi o c’è qualcun altro? Il filo del ragionamento che scaturisce tra gli osservatori del risiko in seguito alla mossa di Enasarco, ente sottoposto al controllo del ministero del Lavoro e della Covip e che collabora a stretto contatto col Mef, è che il governo, che appoggia l’Ops di Montepaschi su Mediobanca e che finora non ha dato segnali concreti di apprezzare l’alternativa proposta da Nagel, sta favorendo il rafforzamento dello schieramento che potrebbe essere più propenso a scegliere il matrimonio con Siena piuttosto che un’offerta su Banca Generali, sebbene questa abbia generato, dal 28 aprile quando è stata lanciata, una crescita dei valori di borsa di tutti i titoli coinvolti. Ebbene, in questo gran movimento sulla milanese Piazzetta Cuccia, ci potrebbe essere anche Unicredit. Perché farlo? Per offrire una “prova d’amore” al governo che gli sta bloccando l’acquisto di Banco Bpm con il golden power? La richiesta fatta da Unicredit alla Consob di allungare i tempi dell’offerta sulla banca milanese per avere modo di approfondire le interlocuzioni con Palazzo Chigi dimostra che Orcel tiene a portare a termine l’operazione più di quanto non si pensi e che ripone qualche fiducia che con Roma si sia aperto uno spiraglio per trattare sulle prescrizioni. Entrare adesso in Mediobanca per avere un potere di scambio o anche solo per rafforzare l’asse con Caltagirone-Delfin già avviato su Generali è l’ipotesi che viene accreditata da più parti perché ritenuta quasi una logica conseguenza della strada che sta seguendo Orcel per raggiungere i suoi fini. D’altra parte, Orcel ha escluso una simile operazione negli incontri con gli investitori avuti appena la scorsa settimana, durante i quali ha anche ribadito che la quota in Generali ha una valenza di tipo “finanziario”, come a volere sgombrare il campo da interpretazioni diverse sul voto dato in assemblea alla lista Caltagirone. Inoltre, una mossa su Piazzetta Cuccia finalizzata a ottenere una contropartita su un altro fronte finirebbe per aumentare quella percezione di incertezza ed eccessiva complessità sulla strategia di crescita oltre a fare apparire il banchiere assoggettato a meccanismi di tipo politico dopo avere costruito la sua carriera sul rapporto di fiducia con il mercato. Insomma, ci sono pro e contro e ai piani alti di piazza Gae Aulenti, sede di Unicredit a Milano, si stanno valutando tutte le opzioni per sbrogliare la matassa a patto che siano comprensibili al mondo degli investitori internazionali che rappresenta una parte rilevante dell’azionariato della banca. A proposito di suggestioni, se è fantascientifica un’offerta da 60 miliardi sul Leone, molto più praticabile sarebbe quella di una contro-offerta su Banca Generali, che capitalizza un decimo. Una soluzione di mercato che toglierebbe a Nagel l’arma per convincere i suoi investitori a non aderire all’Ops di Siena. Ma sono solo rumors e suggestioni da risiko.