I termovalorizzatori, il caso di Brescia e le nuove frontiere geotermiche

Il caso lombardo svela le contraddizioni politiche e industriali della transizione ambientale italiana

Due città, Milano e Brescia, due termovalorizzatori, due storie parallele che a un certo punto si intrecciano, e un caso emblematico di gestione rifiuti con sottotesto di competizione economica e politica attorno alla questione “monnezza”, e al tema che oggi divide trasversalmente le coalizioni: l’energia. E se, a Roma, la parola “termovalorizzatore” evoca il progetto per l’impianto di Santa Palomba (che il sindaco dem Roberto Gualtieri ha molto voluto e che oggi è in fase di avvio), e se in altre città italiane, dalla Liguria alla Sicilia alla Toscana al Piemonte, lo stesso termine suscita i “niet” dei Cinque Stelle e di una parte del Pd (che con il M5s vuol mantenere l’alleanza), tra Milano e Brescia va in scena – e non da oggi– una piccola saga che porta, attraverso mille rivoli, alla domanda: quale sarà la vera battaglia del futuro in tema energetico-ambientale in area urbana?

Intanto, i fatti: il termovalorizzatore di Brescia è entrato in funzione nel 1998. Quello di Milano “Silla 2” è invece operativo dal 2001. Il Pd, che in alcune città non nasconde la sua contrarietà a questo tipo di impianti, a Brescia non soltanto li approva, ma è stato negli ultimi anni favorevole a un possibile ampliamento. Il M5s si è invece attestato sull’abituale posizione pro “riuso e riciclo” (e no inceneritori). Ma qui finisce la polemica in evidenza, e inizia quella sotterranea, anche legata al rapporto di forza Brescia-Milano, in questo caso sbilanciato a favore della città più piccola ma efficiente dal punto di vista dello smaltimento. Antefatto: è il 1998, e sotto lo sguardo del mitologico (nella cittadina lombarda) ingegner Renzo Capra, manager e presidente di Asm, l’azienda dei servizi municipalizzati di Brescia, soprannominato dai concittadini “lo stalinista” per metodi e nostalgie, il nuovo termovalorizzatore vede la luce: si tratta di un impianto con una capacità di trattamento a regime di 730.000 tonnellate, sovradimensionato rispetto alla produzione di rifiuti non altrimenti riciclabili di Brescia città.

“Grazie al principale sottoprodotto della termovalorizzazione, ovvero l’acqua di raffreddamento del camino”, spiega Giuseppe Sant’Agostino, imprenditore milanese esperto di temi energetico-ambientali da sempre vicino al Pd milanese e curioso indagatore del variegato mondo delle Partecipate pubbliche, “viene imposta alla città di Brescia la transizione forzata al teleriscaldamento: in questa fase della tecnologia la pur inefficiente tecnologia del teleriscaldamento è ambientalmente superiore alla combustione diretta delle caldaie, specie quelle a gasolio, per cui Brescia guadagna in salute con questo passaggio”.

Milano, invece, nel 2001, realizza con Aem il suddetto “Silla 2”, con una capacità di 500.000 tonnellate. La minor capacità non consente di imporre il teleriscaldamento, se non ai quartieri delle case popolari limitrofe. Nel 2008 avviene poi la fusione tra Asm e Aem in A2A, e Aem porta in dote Amsa, società che controlla il termovaorizzatore — ma la quota di partecipazione nella nuova società è paritaria fra Milano e Brescia, nonostante la diversa dimensione delle due città, con una proporzione mantenutasi sino a oggi, dopo la quotazione e l’immissione nel mercato del 49 per cento delle quote. Nella doppia partita, energetica e dei rifiuti, con una partecipata regolata ora dalle leggi di mercato, si sono mossi entrambi i comuni. Ma mentre Brescia risultava già satura sul lato della fornitura di energia termica, a Milano il comune ha stipulato un accordo con A2A per l’uso esclusivo del sottosuolo nelle reti di teleriscaldamento. Stessa cosa per il trattamento rifiuti. Il caso, visto dalla prospettiva nazionale, spinge a guardare oltre la polemica spicciola che altrove infuria attorno ai termovalorizzatori.

Dice Sant’Agostino: “L’aspetto più interessante dei termovalorizzatori lombardi non è la loro indubbia utilità e salubrità rispetto al sistema delle discariche, quanto la partita meno visibile relativa all’impiego del principale sottoprodotto, ovvero il caldo generato dal raffreddamento dei camini, il cui controllo genera un monopolio solo recentemente tariffato da Arera, che finisce per garantire una posizione di privilegio a una società privata, per quanto partecipata – di conseguenza non risponde più alle logiche di utilità pubblica mentre condiziona le scelte delle amministrazioni”. Il caso Brescia prefigura insomma possibili future battaglie trasversali alle coalizioni, ma parla anche di transizione difficile verso le rinnovabili. Intanto, e non a caso, la Roma del nuovo termovalorizzatore è oggi molto interessata alla geotermia.

Di più su questi argomenti:

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l’Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l’hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E’ nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.

Leave a comment

Your email address will not be published.