Tra i leader di Germania e Romania, la premier oscilla tra credibilità europea e spinte sovraniste. Il sostegno a figure controverse rischia di incrinare i rapporti con il Ppe, ma serve anche a bilanciare gli alleati interni. Per il sociologo, la direzione è chiara: verso l’Europa dei popolari, ma senza rompere con la base più radicale
Una carezza a Friedrich Merz e un’altra a George Simion. Da un lato la destra moderata, governista, europeista; dall’altro quella estremista, di lotta, antisistema. E Fratelli d’Italia a metà strada. Anzi: con un piede in due scarpe. Dubbio amletico che sa di riflessione identitaria. O di fase di transizione? “In ballo, su vari fronti, ci sono questioni ideologiche strutturali e scelte tattiche contingenti”, dice al Foglio Luca Ricolfi, sociologo e politologo. “La collaborazione con il nuovo cancelliere tedesco la trovo comprensibile. E per nulla problematica”. Ci mancherebbe, avanti Europa. “Sulle elezioni in Romania invece, Meloni come altri ha puntato sul cavallo sbagliato. Ma era difficile fare altrimenti: sia FdI che il partito di Simion a Bruxelles fanno entrambi parte di Ecr”. Eppure il contrasto è abissale. Rimarcato negli stessi giorni, per giunta: parlando con il nostro giornale, diversi dirigenti meloniani hanno applaudito “la totale sinergia con Merz” e al contempo sostenuto Simion ad infinitum. “Forse c’era la convinzione che lui potesse farcela: questo avrebbe potuto cambiare gli equilibri al Consiglio europeo”, il sorpasso dei conservatori sui socialisti sempre nel mirino. “Forse però Giorgia avrebbe dovuto anche tenere un profilo più basso”.
E non imbastire quel vertice pan-sovranista a Roma con Mateusz Morawiecki e Marion Marechal – a pochi giorni dal secondo turno in Romania –, mandando sul palco di Bucarest il capodelegazione di FdI Carlo Fidanza. “Dal punto di vista dell’accettazione di Meloni presso i partner europei più importanti, la mossa di appoggiare Simion senz’altro non è stata delle più felici”, spiega il professore. “Ma c’è anche una questione di numeri: se Ecr continua a perdere pezzi, FdI dovrà fare i suoi conti. Il Ppe è più autorevole, più importante. La naturale destinazione per chi vuole diventare una figura di riferimento in Europa. E finora la premier ricopre una posizione duplice: da un lato cercare di coordinarsi con chi governa, coltivando buoni rapporti con von der Leyen e l’establishment comunitario; dall’altra resta estremamente critica sul green deal e il patto di stabilità che hanno contraddistinto le ultime stagioni dell’Ue”. Per potersi tenere una porta aperta, certi endorsement rischiano però di lasciare il segno. “Ma Meloni non avrebbe potuto in alcun modo appoggiare apertamente Nicușor Dan, anche per questione di opportunità”. E infatti nemmeno Ursula o lo stesso Merz – a differenza di Macron o Donald Tusk – si erano pronunciati in favore del candidato europeista in Romania prima della sua vittoria a sorpresa (salvo poi rapidamente congratularsi, come d’altronde ha fatto anche Meloni stessa). Al contrario però Simion è un ex hooligan, no vax, ostile alle minoranze – tanto da mandare in tilt perfino Orbán, preoccupato per la comunità magiara in Transilvania –, inviso all’Ucraina e alla Moldavia. Un petardo totale (e infatti a Salvini piace da matti).
Cosa c’entra con la paziente operazione di credibilità che Giorgia sta cercando di attuare sul piano internazionale? “La mia sensazione è che lei sappia benissimo cosa vuole”, sostiene Ricolfi. “E deve tenere conto delle circostanze e delle alleanze nei vari momenti: la destra che ha in mente Meloni differisce dal Ppe soltanto per le riserve molto più accentuate sulle politiche socioeconomiche europee. Per il resto c’è un generale allineamento”. E i due eurogruppi, in Parlamento, a detta degli stessi collaborano benissimo. “C’è poi un elemento tattico”, tra equilibri esteri e nostrani. “La frizione coi popolari in questo momento si può presentare perché la premier deve tenere conto che Salvini fa il pacifista”. Almeno a parole. “Meloni quindi condividerebbe anche certe iniziative come il riarmo, ma essendoci Salvini di mezzo non può esporsi eccessivamente. Mi preoccupa semmai l’eventuale esercito tedesco, visto quel che ci ha consegnato la storia: in questo senso, è cambiata la posizione interventista di molti leader europei, non quella del governo italiano che si è sempre dimostrato favorevole a supportare l’Ucraina – armi, risorse, aiuti umanitari – ma altrettanto chiaro a non voler mandare delle truppe a Kyiv. Oltre a questo, la sintonia tra Meloni e Merz non deve più stupire”. Dunque è lecito pensare che, con i tempi e gli spazi della politica, FdI stia ragionando su chi vuole essere davvero da grande? “Procedere verso il Ppe è un’opzione concreta. A patto che il Ppe medesimo si dia una calmata sul bellicismo, altrimenti Meloni va in sincera difficoltà. Ma il prestigio dei popolari in Europa resta centrale. E questo Giorgia lo sa benissimo”. Al netto del pasticcio romeno.