Il pagamento di pezzi di opere che non saranno concluse. Ecco la svolta del nuovo Pnrr

Superare la barriera del 2026 e prolungare gli investimenti. Che cosa c’è nel nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza

Incentivi alla rottamazione di 39 mila auto a benzina e all’acquisto di auto elettriche al posto dell’installazione di colonnine per le ricariche elettriche. Rinuncia all’idrogeno per puntare tutto sul biometano. Estensione delle comunità energetiche dai microcomuni (fino a 5 mila abitanti) ai comuni medi (fino a 50 mila abitanti). Assunzione di personale nelle pubbliche amministrazioni per ridurre i tempi di pagamento in attesa del raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei tempi di pagamento degli appalti pubblici.

Pagamento delle grandi opere pubbliche anche a pezzi (per i lavori fatti) e non solo a conclusione dell’opera per interventi che non saranno completati, come il Terzo valico, la Salerno-Reggio Calabria, la Palermo-Messina, la Napoli-Bari). Definitiva archiviazione del mini-incentivo (mai decollato) per l’efficientamento energetico di abitazioni private di soggetti a basso reddito e trasferimento delle risorse sugli interventi negli edifici di edilizia residenziale pubblica.

Sono alcune delle novità contenute nella quinta revisione del Pnrr che ieri il Governo ha reso finalmente pubblica, inviandola in Parlamento. La proposta era stata trasmessa a Bruxelles il 21 marzo e poi aggiustata nelle interlocuzioni con gli uffici della commissione Ue. A questa revisione ne seguirà un’altra entro giugno: viene già annunciato che i cambiamenti più importanti in quell’occasione riguarderanno Transizione 5.0, Net zero Technologies, le misure per i settori del turismo, del lavoro e dell’inclusione sociale.

Sono 107 i target e milestones che vengono modificati con la quinta revisione, 96 relativi a investimenti e 11 a riforme, con 34 obiettivi relativi alla settima rata, 13 all’ottava, 16 alla nona e 44 alla decima. Rinvii, aggiustamenti, modifiche lessicali o sostanziali, con il governo che bolla tutto questo non come “mettiamoci una pezza”, ma “approccio dinamico dell’Italia alla gestione del Piano”. Senza calcolare che sugli obiettivi ambientali ed energetici la revisione “non è un passo indietro, ma vero e proprio rafforzamento della strategia ecologica nazionale”. Fuor di retorica, la revisione era partita come aggiustamento meramente tecnico degli obiettivi della settima rata, come spesso si era fatto in passato per limare target e milestones e renderli concretamente raggiungibili rispetto a piccoli disallineamenti e discrasie. Poi questa revisione è diventata qualcosa di più, molto di più, a saperla leggere. Anzitutto perché ha imbarcato la revisione di 73 obiettivi relativi alle rate di pagamento successive, avviando l’aggiustamento definitivo che sarà raggiunto con la proposta di giugno.


Ma soprattutto la proposta ora inviata alle Camere accoglie la prima tranche di una revisione della filosofia del Piano che consentirà a diverse sottomissioni di superare la barriera del 2026 e prolungare gli investimenti oltre. Questa idea è stata partorita ormai cinque mesi fa dal ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, e dalla sua task force per il Pnrr (si veda Il Foglio del 19 gennaio) ed era quindi inevitabile che fosse proprio una delle iniziative di Salvini – la Missione 3 sulle infrastrutture di mobilità – a trovare posto per prima nella proposta di revisione (ma c’è una riforma di questo tipo anche per i Piani urbani integrati).

Le pagine 15 e 16 chiariscono, anzitutto, che viene legittimato, in nome di questa nuova flessibilità, quello che il Pnrr in origine escludeva, il pagamento di pezzi di opere che non saranno concluse. Viene introdotto il sistema definito “conclusione di parti d’opera autoconsistenti”: pezzi di opera in qualche modo autonomi e, in quanto tali, ammessi dalla Ue al finanziamento. Quasi ovunque, tra i grandi investimenti ferroviari, c’è una riduzione dei chilometri di linea realizzata e sempre si tratta di quell’ultimo miglio che non consentirà di chiudere l’opera.

Ma se questo aspetto risulterà decisivo nel bilancio finale del Pnrr italiano – perché sposterà risorse da “non speso” a “speso” – il punto-chiave è un altro, è quello che consente di proiettare il Pnrr oltre il 2026, creando ora nuove riforme e collegandole a investimenti che potranno essere finanziati con risorse non spese dell’attuale Pnrr. L’Europa accetta di buon grado perché potrà continuare a imporre all’Italia un percorso riformista costringendola a raggiungere altri target e milestones anche dopo il 2026.

La Riforma nuova di zecca che il Mit ha inserito nella proposta porta il numero “M3C1 – Riforma 1.3” e si chiama “Rafforzamento dell’efficienza nell’infrastruttura ferroviaria italiana”. L’obiettivo dichiarato è “rafforzare la produttività degli investimenti ferroviari e accelerare la realizzazione degli interventi ferroviari”. La riforma chiarisce che ci troviamo di fronte a un nuovo inizio, a “un nuovo Pnrr dentro il Pnrr”. Dovrà raggiungere infatti prima del 2026 l’obiettivo della “adozione di una normativa primaria e secondaria e degli atti delegati” per migliorare la programmazione, misurare i risultati raggiunti, favorire l’apertura del mercato ferroviario. La riforma dovrà essere applicata per ben dieci anni. Sarà creato un nuovo set di target e milestones, sarà potenziato il ruolo dell’Autorità di regolazione dei trasporti, che diventerà il braccio operativo della commissione Ue a Roma, si costituirà una società a controllo pubblico per il materiale rotabile, si dovranno fare le gare per i servizi intercity e regionali.

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