Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore – Ringrazio il Foglio per essere stato il quotidiano più attento e puntuale nel seguire, nel corso delle ultime settimane, la vicenda dell’introduzione dei “contratti di ricerca” come unica forma di reclutamento per i giovani ricercatori in Italia. Il rischio di veder espellere dal mondo della ricerca italiana tra 6 e 10 mila giovani studiosi, creato dalle eccessive rigidità di questa riforma, nelle scorse settimane è stato denunciato, anche su queste pagine, da tanta parte del mondo scientifico e accademico italiano, dai docenti ai dottorandi. Ieri in commissione Ricerca al Senato è stato approvato un emendamento al dl Pnrr-Scuola a firma congiunta Occhiuto-Cattaneo, concepito proprio per far fronte a questa emergenza. L’urgenza oggettiva segnalata in modo pressoché unanime da tutti i soggetti che si trovano a gestire la ricerca era ed è quella di avere a disposizione una forma di reclutamento dei ricercatori alternativa al “contratto di ricerca”, per non rischiare di sbarrare la strada della ricerca a migliaia di giovani, ai quali i tanti docenti e ricercatori del paese in tutte le discipline dedicano continue energie, impegno, professionalità e competenze, per far sì che arrivino a stare in piedi da soli, mentre si costruiscono un solido curriculum necessario per competere in Italia e nel mondo. L’emendamento approvato propone l’introduzione dell’“incarico post doc” e dell’“incarico di ricerca”. Due figure più flessibili che, oltre a garantire le tutele essenziali, restituiscono piena libertà al ricercatore e si adattano tanto a grant nazionali pubblici e individuali come quelli Airc, quanto a bandi internazionali come i Marie Curie Doctoral Networks, per i quali il contratto di ricerca risultava inutilizzabile. Non prevedendo un massimale, gli “incarichi post doc” permettono inoltre di trattenere giovani in quei settori dove la competizione con l’industria è elevata, oltre a consentire un trattamento economico più attrattivo di quello previsto per il contratto di ricerca, che non può superare il massimale stabilito dalla contrattazione collettiva. Come tutte le misure, anche quelle proposte nel testo Occhiuto sono in astratto migliorabili, ma, ad oggi, hanno il merito di essere la soluzione urgente, necessaria e concreta per non perdere migliaia di giovani dottorandi, neodottorati di ricerca e giovani ex assegnisti che vogliono scegliere la ricerca del e nel nostro paese.
Elena Cattaneo, docente alla Statale di Milano e senatrice a vita
Meno flessibilità uguale più precarietà. Grazie a lei.
Al direttore – Opportunamente Maurizio Crippa sul Foglio riconduce la definizione di italiano “riluttante” con cui l’ubiquo giornalista Corrado Augias ha bollato Jannik Sinner a quello che è, una manifestazione di provinciale ignoranza basata su evidenze risibili (lo stentato italiano del padre, il tedesco parlato in famiglia, la residenza a Montecarlo, etc.). Solo chi ignora l’assetto e la storia dell’Alto Adige Südtirol, un modello ammirato in tutto il mondo di rispetto delle minoranze e convivenza pacifica raggiunta grazie alla saggezza del duo De Gasperi-Gruber, di cui l’Italia dovrebbe essere orgogliosa invece che riluttante partecipe, può scrivere simili banalità.
Marco Cecchini
Al direttore – Il caso Garlasco è lo specchio di una giustizia che ha smarrito il senso del limite. Dopo diciassette anni, tra assoluzioni, condanne, revisioni e nuove indagini, resta un’impressione amara: che la giustizia italiana non sappia chiudere, né ammettere i propri errori. Si preferisce il dubbio eterno alla chiarezza, l’accanimento al coraggio di dire “non lo sappiamo”. E così, più che garantire verità, si finisce per perdere credibilità. Una giustizia che non decide, decide contro se stessa.
Marco Patano
Indagini infinite, processi che non si chiudono, inquirenti incapaci di raccogliere prove, giustizia-spettacolo, gogna come metodo. Si scrive Garlasco, si legge Italia. Ah, a proposito di giustizia. Complimenti al nostro Ermes Antonucci, che ieri ha vinto il premio dell’Unione delle Camere penali, “Giornalismo e Informazione Giudiziaria” intitolato al grande Massimo Bordin. Cheers.