Gli effetti grotteschi di una foto a San Pietro

I disastri di Trump con Putin hanno un fine: distruggere l’Europa politica. Se questo è il contesto delle mosse del presidente americano, il problema dell’Italia non è fare da pontiere ma finire la guerra di difesa europea e ucraina dalla stessa parte da cui l’ha cominciata

Che cosa faccia Trump più o meno si capisce. Agevola la strategia di guerra di Putin, gli consente di prendere tempo, sconsiglia anche solo ulteriori sanzioni contro la Russia, che secondo lui è pronta al negoziato di pace, anche se non esiste un solo indizio in questa direzione. C’è altro. Dopo aver cercato di piegare il braccio a Zelensky con inaudite tecniche intimidatorie, fino al blocco delle forniture militari e al ritiro dell’intelligence, a parte l’agguato della Casa Bianca, ha venduto al mondo una photo-op in San Pietro, che considera con frivolezza “il più bell’ufficio del mondo”, e con un paio di telefonate agli europei più il Regno Unito ha integrato la fotografia del miracolo con il sortilegio di una svolta diplomatica via cavo nei rapporti con i bistrattati alleati di una guerra che dura da tre anni in Europa, ma subito dopo ha svuotato di senso la scintilla diplomatica di Istanbul in una conversazione intima e affettuosa con l’aggressore, dalla quale quest’ultimo è uscito raggiante, con la sicurezza di poter insistere nei bombardamenti combinati con le elusioni diplomatiche avendo acquisito una sorta di neutralità americana.

Secondo il Financial Times, inoltre, irritato per non aver potuto proporre al mondo lo scoop di un’Amministrazione che in ventiquattr’ore, dopo Biden, era in grado di fermare il massacro europeo, Trump si sfila dalla partita, propone a Putin grandi business come orizzonte dopo la guerra, e intanto si mette anche a scherzare con il Vaticano come nuova sede negoziale possibile. Come Trump faccia tutto questo è anche abbastanza chiaro. Al telefono e con i tweet sulla sua piattaforma, intrecciando segnali contrastanti di giorno in giorno nel corso dei suoi spostamenti, segnalando sfacciatamente l’assenza di un filo logico razionale e prevedibile nelle sue mosse, lasciando agli altri interlocutori l’onere di decrittare le sue vere intenzioni, a parte Putin con il quale mostra di intendersi benissimo nei codici della comunicazione, e suggerendo agli ex alleati europei di non incrementare sanzioni contro la Russia e aiuti all’Ucraina per non ostacolare la volontà di negoziato e di pace affettata a chiacchiere dai Lavrov e dalle Zakharova. Un comportamento che ha il crisma dell’incredibilità, inconsistente e incoerente in tutto, salvo il punto fermo dell’accordo strategico con l’aggressore, sancito dall’idea che “questa non è la mia guerra, se la sbroglino in Europa”.

Il terzo interrogativo, dopo il che cosa faccia e come lo faccia, è più difficile, ci inoltra nel mistero più assoluto. Perché lo fa? Si può pensare che sia fuori di sé. Si può pensare che sia sotto ricatto, la teoria del kompromat. Si può pensare che cerchi i favori delle autocrazie imperiali di Russia e Cina o le tema, e quest’ultima gli ha già dato una lezione amara di art of the deal sui dazi. Si può pensare che il suo narcisismo sia patologico e maniaco al punto di dover dissimulare con un qualche capro espiatorio, una volta Zelensky una volta gli europei, il fallimento della promessa elettorale di risolvere il tutto con il suo tocco magico in poco tempo. Si può infine pensare che non sappia come si fa, che l’emarginazione totale o quasi degli adulti dalla stanza del potere americano lo induca a una conduzione personale dei grandi dossier, il più clamoroso dei quali è questo farsi trattare a promesse vane e pesci in faccia da Putin, abile e sperimentato negoziatore. Resta una sola vera ipotesi realistica, difficile da accettare per vera in ragione di una lunga storia euroatlantica che parla in senso opposto, cioè che Trump abbia davvero in animo di distruggere l’Europa politica, la struttura atlantica del suo sistema di alleanze, svuotando la Nato di significato e lasciando finire il compito a chi ha preso l’iniziativa armata di scassare gli equilibri successivi alla fine della Guerra fredda. Più si va avanti, più sbiadisce l’effetto grottesco della photo-op ai funerali del Papa, e più è plausibile che l’ultima spiegazione sia quella giusta e che se ne debbano tirare alcune pericolose e dolorose conseguenze. E se questo è il contesto delle mosse di Trump, il problema dell’Italia non è fare da pontiere ma finire la guerra di difesa europea e ucraina dalla stessa parte da cui l’ha cominciata.

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  • Giuliano Ferrara
    Fondatore
  • “Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.

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