“Diario di un giudice” di Dante Troisi, lettura imprescindibile

E’ il libro più triste mai scritto da un magistrato. Non si può fare a meno di pensare che ogni giudice dovrebbe avere, per non seminare intorno a sé più ingiustizia del dovuto, la fisionomia interiore dell’autore

Il mio giro di chierico vagante – vagante per contrade intellettuali che non sono la mia – mi ha portato ieri presso la Scuola forense dell’Ordine degli avvocati di Brescia a conversare intorno al Diario di un giudice di Dante Troisi nel settantesimo anno dalla sua pubblicazione. E’, credo, il libro più triste mai scritto da un magistrato; eppure, chi lo legge non può fare a meno di pensare che ogni giudice dovrebbe avere, per non seminare intorno a sé più ingiustizia del dovuto, la fisionomia interiore di Troisi. Ma chi sceglierebbe, se non per una vocazione non meno imperiosa di una conversione religiosa, una via così infelice? Immerso quotidianamente nella colpa come un padre confessore, al giudice è precluso il conforto sacramentale di potersi confessare a sua volta; e neppure è protetto da una tradizione che lo rassicuri sulla nobiltà del suo ministero.

Più che al curato di Bernanos, la sua condizione lo affratella al boia di de Maistre: “Ma uno di noi non ha nessuno”, annota Troisi, “non possediamo il potere di assolverci vicendevolmente, tutti i libri consigliano di astenersi dal giudicare. Né è un rimedio il proposito di sbagliare di meno la prossima volta. E uno di noi non può starsene in casa, mangiare, dormire con la toga per coprire i rimorsi. Tocca aspettare il momento in cui i rimorsi diventano l’orgoglio del mestiere”. A rendere possibile questo riscatto sarebbe lo spirito di corpo, o di corporazione, che tuttavia Troisi considerava un privilegio inattingibile per i giudici: “Non v’è speranza che gli altri aiutino o siano clementi con uno di noi che sbaglia”. Sappiamo bene quanto platealmente, su questo punto, Troisi sia stato smentito dai decenni successivi. Perciò propongo di aggiungere al disegno di legge Sciascia-Tortora – che prevede per i giovani magistrati un breve periodo formativo in carcere da detenuti – l’emendamento Troisi: che abbiano con sé nella cella una copia del Diario di un giudice, e solo di quello, così da doverlo leggere, e rileggere, e rileggere ancora.

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