Ciriani di Fiamma, il duello con Fedriga (che minaccia le dimissioni) la scalata del fratello Alessandro. Storia di una famiglia missina

La battaglia con il fratello per dominare FdI in Friuli-Venezia Giulia. Solitario, mite, si è trasformato in un ministro incendiario. La doppia anima di Trieste e la partita del governatore leghista (corteggiato dal Pd)

Ma chi, l’Altro? A Trieste lo chiamano ancora il “solitario”, Luca Ciriani, “l’Altro”, per distinguerlo dal fratello, Alessandro, il più noto, l’ex sindaco di Pordenone. E’ rimasto l’Altro malgrado Meloni lo abbia nominato ministro per i Rapporti con il Parlamento, fatto sedere in Cdm. Ma chi, l’Altro? E’ cambiato, dicono, per amore del fratello, che meriterebbe, un giorno, pensa Ciriani l’Altro, il ruolo di Massimiliano Fedriga e che la promessa sia stata fatta al loro maestro comune, l’ex missino Gastone Parigi. O lui o l’Altro. All’inizio, non parlava. Il 16 maggio, quando Fedriga, che ora può mettere sul tavolo le dimissioni anticipate, ha letto l’intervista di fiamma del ministro, quel suo “sono irritato”, ha esclamato: “Gli sarebbe bastata una telefonata”.



E’ la prima “crisi” del governo Meloni per sdoppiamento, nata per un ospedale, a Pordenone, un reparto, un dirigente non gradito al ministro Luca Ciriani, un ospedale come il naso di Cleopatra, ma in Friuli Venezia Giulia spiegano che “l’ipotesi non regge” e che sia tutto un gioco di specchi, come il Caffè, un doppio, una partita nazionale. E’ doppio Ciriani che ha il fratello, Alessandro, più conosciuto di un ministro, perché un sindaco lo trovi, mentre un ministro sta in Aula, a Roma, sulla poltrona di pelle, l’ultima in fondo, sempre quella, vicina alla buvette, la solita dove si siede Ciriani, il ministro che ora parla, dice “ma mi raccomando, non virgolettate”, che Kamala Harris era forse meglio di Trump, e che “è Fedriga ad avere aperto la crisi in regione”. Cosa gli è successo? Al Foglio aveva dichiarato che la Fiamma si poteva spegnere e ovviamente lo hanno ammonito, suggerito che certe cose è meglio non dirle e lui aveva smesso di osare, lui che di FdI è stato il più cortese, lui che prima di parlare con un giornalista doveva chiedere il permesso all’umanità seicentesca, spagnola: “Posso parlare con questi giornalisti?”. Poi, qualcosa.

Nei mesi è cresciuta la rivalità, tutta interna in FdI, con Walter Rizzetto, presidente della Commissione Lavoro, ex M5s, che però piace a Meloni, piace a Fedriga, piace a tutti. Ma ai fratelli Ciriani, così, cosa resta? Sono due le grandi famiglie ex missine della regione: i Ciriani, a Pordenone e Udine, e la famiglia Giacomelli, a Trieste, il padre scomparso, Sergio e il figlio, Claudio. E’ doppia la regione che spiega Gianni Cuperlo, il Joyce del Pd, si spartisce le anime, da una parte Trieste e Gorizia, mentre dall’altra Pordenone e Udine, ma in questi anni il mondo, l’economia, le merci, le banche, girano intorno a Trieste, al suo porto e a Udine è rimasta la squadra di calcio e Pordenone è il festival Pordenonelegge.

Cosa può rispondere l’Altro ai suoi elettori quando gli chiedono: “Ma un ministro non dovrebbe contare più di un presidente?”. Raccontano che l’ultima visita di Fedriga all’Expo di Osaka sembrava la visita di un capo di stato: onori, riconoscimenti, lodi. E l’Altro? I Ciriani soffrono, loro che sono riusciti, a Pordenone, negli anni Duemila, a schiacciare, politicamente, Manlio Contento, ex sottosegretario di Tremonti, amico di Alfredo Mantovano. A Trieste il porto è stato assegnato a una figura vicina alla Lega e passa da quel porto tutto il disegno futuro di Meloni, il Piano Mattei, la porta che per Trump serve ad aggirare l’Oriente. Ha lasciato Zeno D’Agostino, il presidente dell’Autorità Portuale, il marinaio di valore a cui il viceministro di Salvini, Rixi, vorrebbe affidare il coordinamento dei porti italiani e al suo posto è stato nominato Antonio Guerrieri, che in città definiscono un “andreottiano”. Sono al momento due i mandati di Fedriga, e cerca il terzo, perché la sua regione è a statuto speciale, ma ora anche Fedriga, che con Meloni ha un rapporto personale, inizia a chiedersi quale regione del nord voglia davvero FdI. Otto assessori gli hanno consegnato le deleghe, “disponi di noi”, e non si può escludere che Fedriga si dimetta prima di ottobre, prima dei due anni e mezzo. E’ un azzardo, certamente, anche per gli assessori che hanno già il divieto del doppio mandato (voluto dall’ex presidente Serracchiani) gli stessi che cominciano a temere: “Vuoi vedere che il Veneto resta alla Lega, la Lombardia, forse pure, dunque per esclusione a pagare sarà Fedriga?”. A Trieste, si è sdoppiata anche la Lega che oggi, in regione, è guidata da Marco Dreosto, un Durigon che respira bora, un fedelissimo di Salvini, ed è cresciuta l’europarlamentare Anna Maria Cisint, l’ex sindaca anti islam, che qualcuno sogna possa diventare un’altra Vannacci. Ma Fedriga? Potrebbe vincere correndo da solo. O forse… Il Pd regionale gli profetizza l’epilogo di Zaia perché “se non si dimette dovrà attendere la decisione della Consulta. Rischiamo di avere Zaia sindaco di Venezia e Fedriga sindaco di Trieste tranne che…”. Si ricorda il precedente di Sergio Ceccotti, ex sindaco di Udine, leghista, presidente di regione che nel 1995 fece il ribaltone con la sinistra, la prima volta che Lega e Ds governavano insieme. Era un altro tempo, ma già allora era quello di Ciriani, Luca, il fratello, il mezzo che con l’altro vuole fare un Ciriani intero, il candidato, il fratello della poesia di Ada Negri, con il “viso a lama di coltello e la bocca di fame e di sarcasmo”. Non più, solo, l’Altro

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  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio

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