All’Aia arriva un’altra Khan, ma il pregiudizio su Israele resta

Dopo Karim Khan, che si è messo in congedo fino al termine delle indagini per violenza sessuale, arriva il nuovo procuratore della Cpi: la sua attuale vice, Nazhat Shameem Khan, avvocatessa musulmana originaria delle Fiji. E la nomina non è meno problematica

La Corte penale internazionale non può dire di non essere stata avvertita sul suo procuratore, Karim Khan, che si è messo in congedo fino al termine delle indagini per violenza sessuale. Il recente articolo del Wall Street Journal, “La Corte ha predisposto un piano per incriminare Netanyahu subito dopo che il procuratore era stato accusato di violenza sessuale”, ha messo nei guai Khan, accusato da una sua collaboratrice di averle imposto relazioni sessuali durante le missioni a New York, in Colombia, Congo, Ciad e Parigi, oltre che nella sua residenza all’Aia, e poi di averla pressata affinché rinnegasse le accuse.

“Pensa ai mandati di arresto”, le avrebbe detto Khan. I mandati d’arresto contro i leader israeliani sono stati spiccati due settimane dopo la formalizzazione delle accuse di violenza sessuale contro Khan. “Il tempismo dell’annuncio ha fatto sorgere il dubbio che Khan volesse proteggersi dalle accuse di violenza sessuale”, si legge nell’articolo del Journal.

Il Journal ha anche riportato che Khan deve affrontare “molteplici accuse di rapporti sessuali forzati”, basate su documenti, testimonianze e interviste con funzionari della Corte. L’ex procuratore nega qualsiasi condotta scorretta e insinua che si tratti di una cospirazione israeliana contro l’Aia. Poco importa che la sua accusatrice sia un avvocato musulmano malese che lo ha sostenuto contro Gerusalemme. Sarebbe già abbastanza grave se le accuse riguardassero semplicemente una cattiva condotta personale. Ma il reportage del Journal colloca le accuse in stretta prossimità con la decisione di Khan del maggio 2024 di richiedere mandati di arresto per Benjamin Netanyahu e l’allora ministro della Difesa Yoav Gallant. Solo 17 giorni dopo che Khan era stato accusato di abusi sessuali dai suoi collaboratori, il procuratore ha improvvisamente annullato una visita in Israele e Gaza, pianificata da tempo, e ha reso pubblico l’atto legale più incendiario che la Corte abbia mai intrapreso: incriminare i leader di uno stato democratico, parte dell’occidente, di crimini di guerra e contro l’umanità.

Ora al posto di Karim Khan arriva la sua attuale vice all’Aia, Nazhat Shameem Khan, avvocatessa musulmana originaria delle Fiji. E la nomina non è meno problematica. Nel 2021, Khan è stata eletta capo del Consiglio dei diritti umani di Ginevra. A dispetto del nome, questo non è un Consiglio dei diritti umani, ma una commissione contro Israele: ha approvato 104 risoluzioni contro lo stato ebraico, rispetto alle 99 contro tutti gli altri paesi. Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, mentre scene di ferocia antisemita medievale si svolgevano nel sud di Israele la mattina del 7 ottobre, diffondeva questo messaggio: “Abbiamo osservato un minuto di silenzio per la perdita di vite innocenti nei territori palestinesi occupati e altrove”. La parola “Israele” non compariva da nessuna parte. Appena diciannove giorni dopo l’invasione e il massacro degli israeliani da parte di Hamas del 7 ottobre, Nazhat Khan incontrava all’Aia Riad Malki dell’Olp per ricevere “prove dei crimini israeliani contro il popolo palestinese”.

Sotto il mandato di Nazhat Khan, il Pakistan e l’Olp hanno convocato una sessione d’urgenza che ha portato alla creazione di una Commissione d’inchiesta senza precedenti contro Israele, incaricata di indagare sulle “cause profonde” del conflitto e sulla “discriminazione sistematica”. A differenza di tutte le inchieste precedenti, questa ha un mandato a tempo indeterminato per esaminare qualsiasi argomento, qualsiasi periodo di tempo e non ha una data di scadenza. Nel caso ci fossero dubbi, Khan ha chiarito le proprie intenzioni nominando presidente dell’inchiesta Navi Pillay, che ha fatto pressioni sui governi affinché “sanzionassero l’apartheid israeliano”. I suoi due colleghi non sono da meno, ha rivelato UN Watch.

Il commissario Miloon Kothari si è scagliato contro la “lobby ebraica” e ha messo in dubbio il diritto di Israele a essere membro delle Nazioni Unite. In un’intervista a Mondoweiss, sito web anti israeliano, Kothari ha detto: “Siamo molto scoraggiati dai social media che sono controllati in gran parte dalla lobby ebraica”. Sostenendo che avrebbe voluto “sollevare la questione del perché Israele sia un membro delle Nazioni Unite”. Chris Sidoti, il terzo commissario, è invece affiliato a un gruppo che chiede il boicottaggio di Israele e ha dichiarato al Consiglio che alcuni ebrei “stavano lanciando accuse di antisemitismo come se si trattasse di riso a un matrimonio”.


Karim o Nazhat, l’Aia ha sempre il suo Khan. E non è mai sinonimo di giustizia.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.

Leave a comment

Your email address will not be published.