E rifugiandosi dalla bolgia libresca nella Pinacoteca Agnelli sul tetto del Lingotto. Cronache dalla kermesse tra generali e cosplayer
Torino, dal nostro inviato. “It’s not the end of the world” recita la scritta enorme a led blu sul tetto del Lingotto mentre sotto va in scena il Salone del Libro, trentasettesima edizione, che si conclude oggi, sempre più colossale. Anche, per salire sul tetto, tasto “eliporto” nell’ascensore, che riporta a vecchie memorie (ed effettivamente un elicottero si alza nel cielo, e tutti, come gli “Yuppies”, a guardare in alto: è lui o non è lui?). Anche la scritta “Marielle vive” ai più nostalgici farebbe pensare a donna Marella. Ma è un’opera d’arte, finto-graffiti.
Momento d’oro insomma per la vecchia pista di collaudo della Fiat trasformata in highline torinese con fiori e rosmarini, tra le installazioni naturalmente “site specific” di Dominique Gonzalez-Foerster e Superflex e la mostra di Salvo alla Pinacoteca Agnelli: tanti qui si mettono in salvo dalla bolgia del Salone sotto.
Mentre i più anziani illustrano: lì c’era l’eliporto dell’Avvocato, là la bolla del consiglio di amministrazione; tutto by Renzo Piano. E gli esperti: ah, aver comprato Salvo, quel pittore siciliano di palme e notti un po’ mediorientali che fino a qualche anno fa non si filava nessuno e ora è tantissimo quotato. Jumpa Lahiri si aggira per la pinacoteca e dice “che bello che bello” (Montezemolo è un suo gran collezionista). Se proprio si vuol scendere di sotto, nel Salone vero e proprio, un trambusto micidiale per le folle assetate di libri. Ma soprattutto molti militari: uniformi di ogni genere e tipo, lo stand di Radio Esercito, alpini, ammiragli, la Guardia costiera (presentano un libro col fotografo Massimo Sestini) e poi polizia, carabinieri: “C’è pure il cane killer!”, dicono su al bar della zona “Oval”, è il cagnetto-robot addestrato per operare in zone di guerra. E’ il SalTo del RiarMo? passa il ministro della Difesa Crosetto con largo seguito, e qualche contestazione; si ferma davanti allo stand della Farnesina, con gran saluti al direttore dell’Istituto di Cultura di Londra, il leggendario Ciccio Bongarrà; ma intanto il Salone o Saloon va avanti, ogni stand un talk, tutti vogliono i libri ma soprattutto parlare di libri, contemporaneamente, in stereofonia o polifonia. Così vince chi alza più i decibel. La Regione Calabria sovrasta tutti causando anche cortocircuiti tra gli eventi, per cui tu parli e senti il ritorno audio, mettiamo, del sindaco di Crotone.
Folle immense per Carrère che parla di Philip Roth nel restyling Adelphi (ma sembra ringiovanito, Carrère, con tanti capelli e un taglio tipo Alda Fendi, e una pelle da bambino. Avrà fatto restyling pure lui?). Talk, talk, talk: anche accostamenti bizzarri, Gianluigi Nuzzi che dialoga con Francesco Venditti; Scott Turow con Luca Sofri. Padiglione vaticano sotto i riflettori, diversi vescovi si aggirano con la fascia viola tra scolaresche, performer, soggetti vari. “Libri Brutti” alias Auroro Borealo inscena un ambulante di libri, venghino signori venghino, “trenta casi di fallimenti editoriali al prezzo di uno”. Cosplayer di fumetti sconosciuti forse fondamentali. “Sono un anziano Fiat, ho lo sconto?” dice un signore – forse cosplayer locale. Tante conversazioni, dentro il Salone e nel fuorisalone. “Io sono venuto con l’aereo, ormai in treno è impossibile”. Da Roma tanti son saliti con l’aereo, nostalgia anni Sessanta e dell’Alitalia. “E tu quando ti metti a scrivere un romance, così finalmente fai i soldi?”. “Ma che è il romance?”. “I vecchi Harmony”. “Sei uno snob”. “Quel maledetto critico mi ha stroncato, mi ha detto che sembro Gilda Policastro”. “Te piacerebbe!”.
Si mangiano micidiali insalate di pollo e poké, buttati a terra sotto il sole cocente tipo rom (tra rom e romance, vabbè). C’è un Salone dentro il salone, è la Biennale di Venezia con dei talk pure qui. Mentre a Milano bisogna correre perché ha appena inaugurato la Triennale! E la Quadriennale che fa, tace? E una Quinquennale non c’è? Ma poi invecchiando, e scoprendo che anche Papa Leone va in palestra col trainer due volte la settimana, ci si chiede se queste kermesse, sempre più enormi e “record”, non richiedano fisici sempre più allenati, e un’attenzione che forse nessuno ha più, ormai tutti puntando a compulsare bovinamente le storie Instagram di altri da casa e da queste formarsi un’opinione. La sera, caccia alle feste giuste. Bene Einaudi, Fandango bocciata, Netflix astuti, unica “piattaforma” che sfama le folle dentro il Lingotto tra scriventi che fanno “pitch” a produttori romani col frittino in bocca e sognano romanzi (o romance) che diventano serie anche se “il momento dell’audiovisivo è quello che è”. Festa Holden sabato sera regolare (con enorme bandiera palestinese che pende dalla vecchia bellissima sede, ex caserma Cavalli a Borgo Dora, della scuola di scrittura. Baricco con cappello si aggira soddisfatto tra tanti giovani). Annalena Benini, la nostra direttora, infaticabile. I più previdenti e habitué del Salone insieme al pass al collo hanno un kit di sopravvivenza: Xanax per le folle, mandorle e noci per le crisi glicemiche, Neo Borocillina per la voce e la gola. I più chic proseguono poi da Torino per il festival di Cannes.
Ma non in elicottero. Dopo tre giorni chiuso nel Lingotto comincio ad avere allucinazioni competitive, a cercare un orologio da mettere sul polsino e a vantare trascorsi nel Pinerolo cavalleria. Un mio amico mi fa notare che comincio anche a zoppicare come l’Avvocato. “Torino è come una portaerei: bello arrivare, bello ripartire”, diceva lui. Chissà che ne pensano gli ammiragli-scrittori del Salone.