Più Trump cerca di governare minacciando l’Europa, più le sue minacce si trasformano in un boost di crescita per il Vecchio continente. Borse, moneta, investimenti, export, Difesa: tutti i numeri da segnare. E anche per il governo Meloni è ora di battere un colpo
Lo diciamo sottovoce, sperando di non turbare nessuno, o almeno non troppo, ma più passa il tempo, più il disordine americano si diffonde, più si moltiplicano le gaffe di Trump, più aumentano i segnali di instabilità dell’America e più risulta evidente in modo cristallino che non vi è mai stato un momento migliore di questo per essere europei. Non si tratta solo di un tema legato ai valori, scusate la parola, o di un tema legato alla difesa dei princìpi non negoziabili della nostra democrazia, della difesa delle società aperte, della difesa della nostra libertà, della difesa delle nostre democrazie, che comunque poco non è. Si tratta di qualcosa di meno sofisticato e di più materiale che giorno dopo giorno conferma un trend che era risultato già evidente dalle prime settimane della nuova stagione trumpiana. E la questione, numeri alla mano, è semplice, e incredibile: più Trump cerca di governare minacciando l’Europa e più le minacce di Trump si trasformano in un boost di crescita per l’Europa.
Il tema, se vogliamo, può essere spezzettato in due categorie, con la prima categoria più nota e la seconda meno nota. La categoria più nota è quella che ormai conoscete a memoria: Trump, che ha fatto dunque anche cose buone, ha costretto l’Europa a mettersi in discussione, a ricalibrare le proprie priorità, a pensarsi diversa, a investire di più nella Difesa, a scommettere di più sulla globalizzazione, a ragionare finalmente di riarmo, e la sola presenza sulla scena pubblica di un governo tedesco diventato il motore di un processo finalizzato alla maggiore integrazione dell’Europa, alla maggiore flessibilità dell’Europa sui conti pubblici in tema di Difesa, alla maggiore solidarietà dei paesi europei nel considerarsi tutti in egual misura sotto minaccia, di fronte alla mannaia putiniana e trumpiana, dovrebbe dare la misura esatta di quanti benefici abbia apportato all’Europa la violenza politica del trumpismo.
Oltre il lato politico e ideale però vi è una questione simmetrica che riguarda i numeri grezzi del fenomeno in questione. Stefan Hoops, amministratore delegato di Dws, la società di gestione patrimoniale di Deutsche Bank, ha sintetizzato bene questo fenomeno in un’intervista di pochi giorni fa al Financial Times. Hoops ha detto che le politiche tariffarie di Trump si sono rivelate un potente, seppur spericolato, catalizzatore per le riforme economiche attese da tempo in Europa. Ha affermato che l’aumento dei dazi e la tensione geopolitica hanno certamente scosso i mercati globali ma hanno anche scosso l’Europa dal suo “comportamento compiacente e letargico” nei confronti della spesa per infrastrutture e difesa. Ha riconosciuto che il comportamento di Trump potrebbe avere costi a lungo termine, danneggiando potenzialmente la cooperazione internazionale in materia di clima, ricerca e commercio (e chiunque conosca un imprenditore sa che vivere nell’incertezza significa vivere nell’incertezza di investire). Ma, nel complesso, l’Europa probabilmente otterrà risultati economici migliori grazie ai nuovi piani di spesa.
Qualche numero per provare a orientarci e passare dalla teoria alla realtà. Le borse europee, tanto per cominciare, hanno sovraperformato quelle americane nel 2025. L’Euro Stoxx 50, principale indice europeo, ha fatto segnare +9,7 per cento da inizio 2025, l’S&P 500, principale indice americano, ha fatto segnare +0,65 per cento da inizio 2025. Notevole, no? Da inizio anno poi l’euro si è apprezzato di circa il 7,5 per cento rispetto al dollaro, e questo dato evidentemente riflette una maggiore fiducia nella stabilità economica europea. Anche qui: niente male, no? Gli investimenti in Europa, ancora, nello stesso arco di tempo, hanno raggiunto numeri mai visti. Gli afflussi netti nei fondi europei sono stati pari a 187,6 miliardi di dollari nel primo trimestre 2025. Gli investimenti in Etf europei da parte di investitori americani sono stati pari a 10,6 miliardi di dollari nel primo trimestre 2025 (gli Etf sono gli Exchange Traded Fund e sono strumenti finanziari che combinano caratteristiche di fondi comuni d’investimento e di azioni). Secondo i dati di EY e della Commissione europea, i progetti di investimento estero in Europa sono aumentati sensibilmente da gennaio 2025, trainati da un mix di reshoring (soprattutto manifatturiero) e di instabilità politica americana: +37 per cento nel primo trimestre 2025. Stessa storia sui temi ambientali con una crescita record nel settore delle rinnovabili: +29 per cento negli investimenti nel 2024, +12 per cento nel primo trimestre 2025. E ancora: +26,7 per cento di nuove aperture di sedi europee da parte di aziende americane nei primi quattro mesi del 2025, ed è vero che vi sono grandi multinazionali che stanno pensando di spostarsi in America per cercare condizioni fiscali favorevoli ma è anche vero che a causa dell’instabilità normativa e politica americana vi sono casi simmetrici di multinazionali che stanno delocalizzando alcune funzioni chiave verso l’Europa (l’Irlanda resta meta privilegiata per motivi fiscali, ma crescono anche Portogallo, Paesi Bassi e Polonia). E ancora. L’export tedesco e italiano di macchinari, farmaceutica e beni di lusso in questi mesi è andato da dio. Numero da segnarsi: +15,2 per cento di export europeo verso i Paesi Asean (sud-est asiatico) nel primo trimestre 2025.
Stessa storia sulla Difesa. Trump, lo sappiamo, ha minacciato di ridurre l’impegno americano nella Nato (il segretario della Nato ha chiesto ai paesi membri di arrivare a spendere il 5 per cento del pil per la Difesa, l’Italia supera a malapena il 2 per cento), e i paesi Ue in questi mesi hanno accelerato i propri piani di difesa comune, con il più grande aumento trimestrale degli ultimi 20 anni, con ricadute industriali in Germania, Francia, Italia, Svezia e Spagna. Numero da segnare: +44 miliardi di euro in nuovi ordini militari interni Ue nel primo quadrimestre 2025. La crescente incertezza sulle rotte atlantiche e sui costi assicurativi ha generato anche un altro fenomeno interessante: un riallineamento logistico che favorisce l’Europa meridionale come ponte tra Africa, Asia e centro Europa. Numero da segnare: +8,3 per cento di incremento del traffico merci nei porti del Mediterraneo rispetto allo stesso periodo del 2024. Stessa storia, anche se qui il numero è meno afferrabile, riguarda il fatto che le aziende europee vedono nell’instabilità americana un’occasione per riconquistare quote di mercato e attrarre nuovi clienti che cercano affidabilità nel lungo periodo. Altro numero da segnare: +2,4 punti di incremento della fiducia delle imprese manifatturiere europee da gennaio ad aprile 2025. Artur Saraiva, direttore della strategia di residenza globale e cofondatore della società di consulenza per la migrazione degli investimenti Global Citizen Solutions offre un altro spunto di riflessione e dice di aver assistito a un aumento del 250 per cento delle richieste da parte di clienti statunitensi che desiderano trasferirsi nel Regno Unito e in Europa dall’inizio del 2025 rispetto allo scorso anno. L’agenzia immobiliare Hamptons riporta che quasi tre quarti dei nordamericani in cerca di casa in Gran Bretagna nel primo trimestre del 2025 (il gruppo più numeroso nella categoria internazionale, con il 16 per cento) desiderano trasferirsi definitivamente.
Mario Draghi, la scorsa settimana, ha ricordato con pragmatismo che l’Europa, di fronte all’instabilità americana, non può più festeggiare, naturalmente, perché gli Stati Uniti sono il nostro principale mercato di esportazione, con oltre il 20 per cento delle nostre esportazioni di beni che attraversano l’Atlantico, perché gli europei rispetto all’America sono molto esposti, considerando che gli Stati Uniti sono la principale fonte di domanda per i nostri partner commerciali, e se la domanda statunitense vacilla, anche le importazioni dei nostri partner dall’Europa vacilleranno. Eppure, la fase in cui ci troviamo oggi è ricca di opportunità per l’Europa. Sia per provare a riequilibrare le sue vulnerabilità nel mondo, sia per arricchire e rafforzare il suo mercato interno, sia per rafforzare la sua competitività, sia per essere più resiliente, sia per essere più attrattiva.
A inizio maggio, il presidente francese Emmanuel Macron ha ospitato una conferenza alla Sorbona, volta ad attrarre scienziati statunitensi in Francia. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen gli ha dato man forte, annunciando un’iniziativa biennale da 500 milioni di euro (556 milioni di dollari) per sostenere gli scienziati statunitensi che si trasferiscono in Europa e sfruttare, come ha scritto Foreign Policy il monumentale autogol dell’Amministrazione Trump di attaccare le comunità della ricerca scientifica, tecnica e più in generale accademica degli Stati Uniti, proprio mentre la competizione globale nell’innovazione d’avanguardia accelera. Qualcosa, dicono i dati, si sta già muovendo. E vi è un ritorno degli studenti internazionali in Europa (+19 per cento da inizio 2025), effetto boomerang del clima trumpiano. Un effetto generato dalle nuove restrizioni su visti e permessi negli Stati Uniti (l’Erasmus+ è stato potenziato e paesi come Olanda, Germania, Spagna, Francia stanno vivendo un boom nell’istruzione superiore). L’occasione c’è. La strada è di fronte a noi. Trump è una sciagura per il mondo, probabilmente lo sarà anche per gli Stati Uniti (venerdì, come sapete, Moody’s ha abbassato il rating degli Stati Uniti, portandolo da Aaa a Aa1, a causa dei crescenti livelli del debito pubblico e a causa dell’aumento dei costi di rimborso degli interessi), ma forse per l’Europa la vera sciagura più che Trump sarebbe non sfruttare l’occasione di trasformare la minaccia trumpiana in una vera età dell’oro dell’Europa antitrumpiana. E nell’immaginare l’Europa del futuro è ora per il governo Meloni di battere un colpo. Toc toc.