Jasmine Paolini, Jannik Sinner, Lorenzo Musetti e le sue tre semifinali consecutive nei Masters 1000 sulla terra rossa hanno ribaltato ogni pregiudizio sui belli de casa
E’ italiano, nel suo prime, il panorama: pini marittimi e statue di marmo; italiana la gente e il loro modo di parlare “Daje Jan”, “Nun mollà Jas”; italiana la stucchevole domanda delle domande ai giocatori, come se Roma anche nei giorni del Conclave fosse riconducibile a una sola questione: “carbonara o cacio e pepe?” (con tennisti che ci marciano sopra e infatti ogni sera a postare foto dalla taverna Trilussa); è italiana l’abitudine a salire sui carri, i più cinici, o di appassionarsi seriamente ai nuovi campioni: “Io di tennis ci capisco poco, ma come gioca Lorenzo Musetti” (frase sentita più volte in giro per Roma, in taxi e nei bar a conferma del fatto che l’arte non è che si spiega, o ti piace oppure no).
Sono invece poco italiani gli attori e le attrici protagoniste che hanno reso il Foro Italico un capolavoro del made in Italy, due dei quali dai nomi esotici, Jannik e Jasmine, e poi Matteo, Lorenzo, Sara, un altro Matteo, un altro Lorenzo, Lucia, i nuovi arrivati Tyra e Federico. Tre top ten col tricolore davanti tra ranking Atp e Wta.
Prendiamo Jasmine Paolini, 29 anni, late bloomer, l’anno scorso due finali Slam consecutive, l’oro olimpico in doppio, la quarta posizione in classifica. Nella stagione delle conferme ha deciso di sparigliare tutto, di separarsi dal suo storico coach Renzo Furlan e di “buttarsi nel fuoco”, (copyright di Jannik Sinner che ha usato questa espressione per descrivere la decisione di allontanarsi da Riccardo Piatti), di ricominciare da zero con un nuovo allenatore, Marc Lopez. “Avevo bisogno di farmi dire le cose da una persona diversa”. Il contrario della comfort zone, il contrario del bisogno di consolazione. Nei giorni romani le hanno recriminato di essere troppo passiva nel gioco, lei ha incassato il colpo e vincendo gli Internazionali (il suo secondo Masters 1000 della carriera, è la prima italiana a riuscirci) ha dimostrato che essere costanti nei giorni imperfetti è più efficace che un 9 in classifica nei giorni in cui ci si sveglia al cento per cento (cosa che accade ai tennisti fortunati sei giorni all’anno).
Mammoni, artisti, scostanti, oppure nel tennis pallettari, non abituati alla sofferenza, casinisti, attaccabrighe, scostanti, un piatto di pasta in più e una sessione di riscaldamento in meno. Jasmine, Jannik, Lorenzo Musetti e le sue tre semifinali consecutive nei Masters 1000 sulla terra rossa hanno ribaltato ogni pregiudizio, ogni luogo comune, ogni fake news sui belli de casa. Jasmine Paolini poteva essere una delle tante protagoniste di un’ottima e irripetibile annata. Accade spesso, tanto di cappello anche senza il bis. Invece l’azzurra ha stravolto la vita, i punti di riferimento, ha sostituito la sua unica certezza con un salto nel buio. Tutto a stagione in corso. In direzione ostinata e contraria ha continuato a giocare singolare e doppio, raddoppiando fatica senza nessuna garanzia di raddoppiare anche la soddisfazione. Ha avuto ragione lei.
Cosa dire di Lorenzo Musetti? A 17 anni si aspettavano che si comportasse come un trentenne, talento purissimo che a seconda delle partite si trasformava in talento sprecato. Gioco sublime e sublimi sconfitte. Nel 2022 sconfigge Alcaraz in finale ad Amburgo, due anni esatti dopo si ritrova a giocare un torneo del circuito challenger, il circuito delle giovanissime promesse e di non più giovanissimi che non si rassegnano. Lui gioca, la definisce una giungla, è una sberla in faccia, lo porta a farsi una domanda, vuoi essere bello o vuoi essere vincente? Ha scelto la seconda, che significa fatica, fatica e ancora fatica, quel dietro le quinte che non si vede quasi mai, ipnotizzati come siamo dagli highlights, i colpi migliori che fanno sembrare il tennis una questione estetica mentre invece visto da vicino si tratta il più delle volte di calzini sporchi, vesciche, imprecazioni, ore sotto la pioggia ad aspettare di giocare un match point, giornate trascorse tra la palestra e lo spogliatoio, sessioni di allenamento senza dire una parola, “colpisci la palla, e basta”.
La prima immagine che si vede arrivando a Termini nei giorni degli Internazionali è il faccione di Jannik Sinner in versione testimonial di uno dei tanti sponsor. Tornava da un’assenza di tre mesi, per quattro settimane non ha preso in mano la racchetta, ha pensato di smettere dopo la squalifica di tre mesi. E’ arrivato a Roma da numero uno del ranking e con una racchetta che gli scappava dalle mani. I primi giorni una stecca dietro l’altra. E lui lì, in campo, con Vagnozzi che gli diceva: “Fai le cose semplici, gioca pulito”. A Roma ha incontrato il Papa, nel pomeriggio era di nuovo in campo a preparare il match dell’indomani. Sperava di giocare una partita, al massimo due. E’ arrivato fino in fondo, regalando al tennis la miglior finale possibile, contro Carlos Alcaraz. Il numero uno del mondo contro l’unico uomo che al momento è capace di batterlo. Jannik Sinner che prima di salvare il secondo match point dell’avversario guarda il suo angolo e gli mostra la racchetta, come a dire io ci sono, ci siamo anche noi gli dicono Cahill e Vagnozzi. Ha vinto lo spagnolo, Sinner gli ha promesso che si rivedranno a Parigi, poi ha Jasmine, Lorenzo, il dream team azzurro: “Ci piace giocare a tennis. Sembra una banalità ma invece non lo è”.