Dandy e liberal, ma fino a un certo punto. Intervista a Gay Talese

Ha 93 anni ed è l’ultimo sopravvissuto della straordinaria stagione del new journalism. Detesta il politicamente corretto, Trump non gli piace proprio, però non ha votato per Hillary Clinton né per Kamala Harris

Gay Talese ha compiuto a febbraio 93 anni, e non rinuncia per nulla al mondo a uscire ogni sera: è un modo per rimanere vivo, spiega. Come non rinuncia agli abiti ricercati, il cappello a falde larghe e il Martini che ordina appena entra in un locale o se lo inviti a cena. Sorride compiaciuto quando lo definisco dandy e mi mostra con un pizzico di vanità il raffinato bastone di mogano con cui ormai è costretto ad aiutarsi. L’attenzione minuziosa per ogni dettaglio dell’abbigliamento lo deve agli insegnamenti del padre, che prima di trasferirsi a Ocean City, nel New Jersey, faceva il sarto a Maida, in provincia di Catanzaro. Da più da cinquant’anni Talese vive in una townhouse di cinque piani su Park Avenue, dove fino alla pandemia organizzava il party natalizio più ambito della città, al quale interveniva il gotha intellettuale e politico newyorkese, a cominciare dal sindaco. E’ l’ultimo sopravvissuto della straordinaria stagione del new journalism, nata dall’ispirazione convergente di talenti formidabili e diversissimi quali Truman Capote, Joan Didion, George Plimpton, Hunter Thompson e Norman Mailer. Ognuno di loro ha scritto pagine memorabili, ma è certamente suo il testo che viene preso a simbolo per spiegare l’essenza e la grandezza quel movimento: “Frank Sinatra ha il raffreddore”.

“Non ho mai scritto una riga di narrativa”, mi spiega, “la realtà è più ricca e sorprendente di qualunque fantasia: tutto quello che ho scritto nasce da un lavoro estenuante di ricerca”. Non si è mai tirato indietro di fronte alle polemiche, e detesta con tutte le proprie forze la correttezza politica, che considera una forma di censura e di ottusità. “In particolare nell’arte, che non può essere né politica né corretta”, mi dice, e poi domanda come mai gli italiani siano sempre interessati alla politica, “qualunque discussione, qualunque riflessione va a finire lì”. Cerco di obiettare che dalla qualità dell’amministrazione della polis dipende tutto il resto, ma non è affatto convinto e mi chiede “da dove vuole iniziare”?

Iniziamo dal Papa americano…

Sul piano religioso ne so poco, salvo che è stato un missionario che si è speso in prima persona per i diseredati. Su quello politico ha fama di essere il più progressista tra gli americani e da questo punto di vista è lontano da Trump e i suoi elettori. Infine, sul piano personale, non mi sarei mai aspettato di vivere a lungo per vedere un Pontefice statunitense. Aggiungo che dal momento in cui Robert Francis Prevost è stato eletto, Trump non è più l’americano più famoso del mondo, e questo per lui ha un impatto psicologicamente più forte di quanto si possa immaginare.

Che cosa ha votato nelle ultime tornate elettorali?

Ho dato il mio voto a Obama e Biden, ma mi sono rifiutato di votare per Kamala Harris e Hillary Clinton, senza per questo votare per Trump. Mi sono limitato ad astenermi.

Se combatte Trump, non crede di aver fatto il suo gioco?

New York è una città largamente democratica, il mio voto era del tutto irrilevante, e mi sono avvalso del privilegio di poter evitare di votare per le candidate che non mi piacevano.

Non posso non notare che ha votato per i due candidati maschi ma non l’ha fatto con le candidate femmine.

Non mi stupisce che sia interpretato così, ma il sesso non c’entra niente: ritengo che Hillary sia stata una candidata disastrosa e imposta dall’alto attraverso un accordo di palazzo: sarebbe toccato a Biden già nel 2016 e probabilmente avrebbe vinto cambiando la storia di questo paese. Hillary è il simbolo dell’elitismo della sinistra, quel mondo che solo a parole è empatico con le classi più umili: credo che abbia rivelato la sua vera essenza quando ha definito “deplorevoli” gli elettori di Trump che avrebbe invece dovuto convincere a votare per lei.

E Kamala Harris?

E’ stato un altro intrigo di palazzo fatto senza le primarie, e soprattutto senza tenere in considerazione le istanze dell’elettorato. In questo caso non l’ho votata perché credo che abbia fatto un pessimo lavoro da procuratore in California e che sia assolutamente inadeguata sul piano della leadership. Non le affiderei neanche l’amministrazione di una piccola azienda, figurarsi la Casa Bianca.

Tradizionalmente il voto cattolico è stato sempre in maggioranza democratico, ma questa volta, anche a causa degli emigrati di lingua spagnola, una consistente percentuale ha votato Trump.

Perché a differenza di Hillary, che li ha insultati, Trump ha parlato con abilità la loro lingua, ed è entrato perfettamente in sintonia con loro.

Perché lei non ha votato Trump?

Perché non mi piace né sul piano della sostanza autoritaria e caotica, né su quello della forma, violenta e volgare.

Avrebbe votato un altro candidato repubblicano?

Perché no, sono numerosi quelli che ho ammirato nel passato, ma questa volta c’era solo Trump.

Mi può fare degli esempi?

Mi rendo conto di andare molto indietro nel tempo, ma sono un estimatore di Ike Eisenhower: un uomo pieno di dignità che si è posto al servizio dello stato. Quando parlava non era molto affascinante, la Casa Bianca non ha bisogno di un poeta: ecco, troppe volte ci siamo lasciati incantare da magnifici oratori che poi si sono rivelati mediocri presidenti. Credo che Eisenhower, o tra i democratici Lyndon Johnson, siano stati presidente molto più importanti di Kennedy, che aveva l’aspetto di una star e parlava benissimo.

Anche Obama è un magnifico oratore, ed è spesso accusato di essere più una star che un politico di sostanza.

La presidenza Obama ha luci e ombre, ma le prime prevalgono certamente sulle seconde. Qualunque sia la valutazione sulla sua presidenza l’avvento di un uomo di colore nello studio ovale rimane un momento storico di portata straordinaria.

I democratici amano molto un repubblicano anomalo come McCain.

Diffido sempre dalle personalità ammirate dagli avversari. McCain merita tutto il rispetto in particolare perché è stato un eroe di guerra, e non dimentico la classe e il senso dello stato con cui ha fatto il discorso di concessione quando ha perso con Obama. Ma era un carattere difficile e litigioso, non so se sarebbe stato un buon presidente.

Perché New York è una città liberal?

Perché all’ingresso della baia c’è la statua della libertà, con la sua promessa di accoglienza. E’ una città di immigrati, dove l’assimilazione va di pari passo con la difesa dell’identità. L’accoglienza è nel suo codice genetico, e ancora adesso è una città che non ha eguali per l’infinità di culture tradizioni, linguaggi e cucine. E poi, nonostante la fama di essere brutale e spietata, ha in realtà un animo gentile e romantico, che può apprezzare solo chi la conosce autenticamente. Ne ho prova anche in questi giorni quando cammino con il bastone: non sa quanta gente mi offra aiuto. Quello che non funziona in città nasce quasi sempre da pessime scelte politiche.

Donald Trump è di Queens, ma spesso si tende a minimizzare che anche lui è un newyorkese.

Anche questa è una forma di snobismo, come se fossero newyorkesi solo coloro che abitano a Manhattan. Nel suo caso bisogna ricordare che è di origine tedesca e che il nonno si chiamava Trumpf. La ricchezza e la grandezza della città è fatta proprio da questa miriade di tradizioni diverse, e dal fatto che ognuno è un outsider che potenzialmente può diventare qualcuno: nessuno nasce a Park Avenue. Trump all’inizio era solo un outsider, come, mutatis mutandis, il sottoscritto.

Da new journalist come commenta la foto di Trump che parla con Zelensky a San Pietro in occasione dei funerali del Papa?

Quello che colpisce maggiormente è quanto siano piccoli di fronte alla grandezza del Vaticano. Mi sono anche chiesto chi avesse messo quelle due sedie, chi ha scattato la foto e se avessero concordato di diffonderla mentre parlavano.

Ai funerali del Papa mancavano Putin e Netanyahu.

Temevano entrambi l’arresto e non hanno voluto rischiare.

Qual è il suo giudizio sui due leader?

Si sono macchiati e continuano a macchiarsi di crimini orrendi. Ma non sono gli unici, basta pensare ad esempio ad Assad. In entrambi i casi, la situazione dei rispettivi paesi è estremamente complessa: questo ovviamente non giustifica aggressioni e invasioni, ma invita a giudizi che contestualizzano quanto sta avvenendo.

Washington è storicamente sospettosa rispetto a tutto quello che proviene da New York: come mai?

A causa della ricchezza culturale della città di cui parlavamo prima, ma anche per via di Wall Street: il potere politico ha sempre problemi nei confronti del potere finanziario. In una delle famose registrazioni della Casa Bianca, Nixon, che venne accusato a suo tempo di essere un presidente imperialista, parla con disprezzo di Wall Street: era un outsider come Trump, con l’aggravante di venire da una classe umile, e ha avuto molti degli stessi nemici di Trump, a cominciare dal New York Times, le università e il deep state.

Quale è il suo giudizio su Nixon?

Una figura tragica: certamente un grande presidente in politica estera, ma il Watergate è imperdonabile e in quel caso ha sbagliato tutto.


La burocrazia federale; Harvard; il New York Times: ecco tre baluardi tipici dell’establishment che congiurò contro Nixon e oggi è contro Trump. Con lui, già prima del Watergate, la sinistra si è macchiata di protervia attaccandolo sul piano personale, come quando diffuse il poster con scritto “votereste mai un uomo con questa faccia?”. Finendo per perdere 48 stati a due… sull’elitismo della sinistra non mi lasci iniziare, mi limito soltanto a ricordare che durante la pandemia ci fu un esodo di quel mondo negli Hamptons, da dove la sinistra dei salotti continuava a pontificare all’interno delle sue ville.

Torniamo all’attuale presidente: lo definirebbe un repubblicano?

Mi sembra del tutto irrilevante. Certamente è un repubblicano molto diverso da Eisenhower, Reagan, Bush o Teddy Roosevelt. Per non parlare di Lincoln. Nel suo caso non si può dimenticare che in passato è stato un grande finanziatore dei democratici, in particolare di Bill Clinton. Oggi sta mettendo in atto politiche di destra, anche estrema, ma Trump è il tipico personaggio che va dove lo porta la conquista e il mantenimento del potere.

Sia David Remnick che Margo Jefferson ne hanno il massimo disprezzo, ma gli riconoscono carisma e abilità demagogica.

Condivido, e aggiungo che ha il talento di saper parlare a un mondo al quale non parla nessuno. Ultimamente mi è capitato di vedere quel grande capolavoro cinematografico che è “Il cacciatore”, e pensavo che Trump è l’unico in grado di parlare agli operai simili a quelli che si vedono in quel film, i quali oggi con ogni probabilità, hanno perso il lavoro.

Che cosa pensa del successo che ha presso l’elettorato femminile, nonostante affermazioni violente e volgari?

Le sue espressioni sono certamente inaccettabili e squallide, come anche molte altre, ma ho la sensazione che chi lo vota ne abbia la consapevolezza e che il suo linguaggio assolutamente basico in qualche modo lo faccia apparire genuino. Nel momento della scelta l’elettorato lo preferisca al linguaggio ovattato, asettico e ipocrita del fronte opposto. In qualche modo chi vota per Trump trova un punto di contatto con lui nell’essere snobbato dall’élite.

Che idea si è fatta della polemica tra il presidente e le università?

Mi ha colpito sia che Columbia abbia chinato la testa sia che Harvard abbia reagito attaccando. La libertà di insegnamento è un bene da difendere a ogni costo, ma non si possono negare due cose: 1) alcune manifestazioni nei campus erano realmente infettate dall’antisemitismo. 2) a Trump questo interessa molto relativamente, ma lo utilizza come strumento per piegare le università al suo volere. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, attaccare anche violentemente i crimini di Netanyahu o la carneficina a Gaza non significa essere antisemiti.

Parlerebbe di genocidio?

No, è un termine improprio e capzioso: io parlo di carneficina o massacro.

Come spiegherebbe Trump a un ragazzino di 10 anni?

Dipende se questo ragazzino vive in un ghetto o a Park Avenue. Nel primo caso lo metterei in guardia dal modo con cui parla con il suo mondo, nel secondo gli direi “attento, sta parlando a un mondo che tu non conosci.

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