Tutti i dubbi sul “ragionevole dubbio” nella condanna a Stasi

Il giovane era stato processato e assolto “per non aver commesso il fatto”, due volte. Poi la condanna della Cassazione, in cui la Procura non sosteneva l’accusa ma chiedeva un altro annullamento. Infine la riapertura dell’indagine. Contraddizioni insuperabili

Dal momento che non so niente del delitto di Garlasco, e ho appena letto per la prima volta, con cautela, l’esposizione che ne fa Wikipedia, avrei tutte le ragioni per tacerne. Tutte, tranne una, che riguarda il principio “secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato”. Traggo questo dalla giurisprudenza della Cassazione, e richiamo l’attenzione sull’aggettivo, teoricamente superfluo, e ridondante, che qualifica ed esalta la “certezza”: “assoluta”. Ribadita dall’importazione dal diritto anglosassone della locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio”, fondata “sul principio costituzionale della presunzione di innocenza e sulla cultura della prova e della sua valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale”.


Il giovane Stasi era stato processato e assolto, “per non aver commesso il fatto”, due volte, in primo e in secondo grado. La Cassazione annulla e rinvia a un nuovo processo, ordinando di compiere ulteriori esami, ma dichiarandosi persuasa dell’impossibilità di arrivare a un verdetto di assoluzione o di condanna “coerente, credibile e ragionevole”. Che è già piuttosto singolare. Poi viene la condanna, la nuova Cassazione, in cui tuttavia la procura non sostiene l’accusa ma chiede un altro annullamento, e la conferma definitiva della condanna. “Definitiva”: qui c’è un problema. Nel corso degli anni, ormai 18, più volte la difesa del condannato chiede la revisione del processo e ricorre alla Cedu, che, ancora quest’anno, la dichiara irricevibile. Fino alla riapertura dell’indagine, chiesta dalla stessa procura di Pavia che, con altri titolari, aveva sostenuto l’accusa in passato, e sancita dalla Cassazione.



Non saprei dire una parola sul delitto, il femminicidio, di Garlasco, e sull’innocenza o sulla colpevolezza di Stasi o di un altro o di altre e altri. Ma l’iter processuale era già più che sufficiente a sollevare molti ragionevolissimi dubbi. Ora, c’è una procura competente che, con l’avallo della Cassazione, riapre l’indagine avvisando formalmente un altro imputato, rivalutando prove scientifiche e testimonianze e indizi di contesto, svuotando un corso d’acqua alla ricerca dell’arma del delitto, senza evidentemente sentire in ciò una contraddizione insuperabile con la compresenza di una condanna “definitiva” – e in larga parte già scontata. Ora, ammettiamo che la nuova indagine non approdi ad alcun risultato alternativo, e si chiuda con un nulla di fatto. Si può “ragionevolmente” pensare che un simile esito riporti le cose al punto di partenza, cioè alla conferma, alla conservazione, della condanna “definitiva”? Che dei magistrati, dalla procura titolata alla Corte Suprema, abbiano ritenuto plausibile l’indagine alternativa, e si siano impegnati a ottenerla e perseguirla, non è forse la dimostrazione insuperabile della sussistenza del ragionevole dubbio sulla condanna di Stasi?



P.S. Le opinioni, o le preoccupazioni, sull’eventualità che i magistrati della procura pavese e della Cassazione siano mossi da una tentazione di popolarità e di vanità, che hanno bisogno comunque anche loro di essere provate, non tolgono niente alla deduzione sul ragionevole dubbio. Nemmeno le vanità di magistrati possono essere inscenate gratis.

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