Taglio o non taglio? La Bce al bivio sui tassi in vista di giugno

Il taglio dei tassi non è più cosa certa. Dubbi su un possibile cambio di strategia e sulla chiarezza comunicativa. La smania degli annunci mina la credibilità di Francoforte

Alla prossima riunione del 5 giugno, la Bce dovrebbe tagliare il tasso d’interesse di altri 25 punti base. I mercati finanziari anticipano tale decisione con una probabilità elevata (85 per cento). Tuttavia, questa probabilità si è ridotta negli ultimi giorni e non si può del tutto escludere la possibilità che alla fine la Bce ci ripensi. Ci sono due motivi che potrebbero giustificare tale decisione. Il primo è che si verifichi una rapida inversione dello scenario internazionale, in seguito alla tregua raggiunta nella guerra commerciale dichiarata dall’Amministrazione Trump, che potrebbe far ripartire la crescita economica. Qualche segnale in tale direzione c’è stato, a cominciare dall’accordo concluso con il Regno Unito e la sospensione per 90 giorni dei dazi nei confronti della Cina. In effetti, i mercati hanno reagito bene a queste notizie, con una lieve ripresa delle quotazioni azionarie, un rafforzamento limitato del dollaro e un aumento dei tassi a lungo termine.

Negli ultimi dieci giorni, i rendimenti dei Treasuries americani e dei Bund tedeschi a 10 anni sono saliti di circa 20 punti base. Tuttavia, sembra difficile che questi segnali positivi possano compensare del tutto gli effetti dell’incertezza accumulata sin dall’inizio della guerra dei dazi. I termini degli accordi annunciati dall’Amministrazione americana non sono ancora definiti. Pur scampando al pericolo degli incrementi tariffari estremi annunciati in occasione del Liberation Day, i dazi saliranno comunque almeno del 10 per cento. Ciò produrrà un freno agli scambi e un intralcio alla catena produttiva. Nell’immediato, l’incertezza incide negativamente sui consumi e sugli investimenti, come confermano le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale, che hanno rivisto al ribasso la crescita e l’inflazione europea per il prossimo biennio. La stessa Bce ha rivisto di recente le proprie previsioni nella stessa direzione. In sintesi, non sembra esserci finora sufficiente evidenza per giustificare un ripensamento nella decisione da prendere nelle prossime settimane di allentare ulteriormente la politica monetaria europea.



L’ipotesi alternativa è che la Bce stia cambiando la propria strategia monetaria e non basi più le sue decisioni sui dati e sulle previsioni macroeconomiche di breve termine, che sono soggette a grandi incertezze, bensì sui fattori strutturali di medio-lungo termine. Questa ipotesi sembra confermata da recenti interventi pubblici da parte di alcuni esponenti del comitato esecutivo. Il cambiamento di strategia potrebbe essere giustificato da vari fattori. Innanzitutto, le decisioni della Banca centrale, come la riduzione dei tassi d’interesse, producono i propri effetti sul sistema economico in tempi lunghi. Concentrarsi sul breve periodo sarebbe pertanto inutile e forse anche dannoso. Tanto più che i tassi d’interesse di politica monetaria hanno raggiunto oramai un livello – il 2,25 per cento per il tasso sui depositi delle banche – che può essere considerato sostanzialmente in linea con la situazione sottostante dell’economia europea. Infine, i rischi inflazionistici tenderanno ad aumentare nel lungo periodo, principalmente a causa di due fattori. Il primo è la politica fiscale europea, in particolare quella tedesca, che sarà molto più espansiva nei prossimi anni, per effetto dei numerosi impegni di spesa, a cominciare da quelli per la Difesa. Il secondo fattore riguarda il processo di deglobalizzazione innescato dalla guerra dei dazi, che è destinato ad aumentare i costi del commercio internazionale e a ripercuotersi sui beni al consumo. In base a questa nuova strategia, la Bce dovrebbe mantenere i tassi immutati sui livelli attuali e non tagliarli più. In altre parole, i mercati stanno sbagliando nel prevedere un prossimo taglio dei tassi a giugno.



Gli argomenti di cui sopra sono discutibili nel merito. Ma ancor più discutibile è il metodo. E’ lecito domandarsi, in effetti, se questo cambiamento di paradigma sia una posizione ufficiale della Bce oppure se è il frutto di una riflessione personale o di qualche membro del comitato esecutivo. In quest’ultimo caso, è ancor più lecito chiedersi perché tali riflessioni vengono svolte in pubblico, senza essere prima oggetto di analisi e di verifiche collegiali. La smania di esprimersi pubblicamente, non tanto sulla situazione economica sottostante quanto sulla direzione che dovrebbe prendere la politica monetaria nelle prossime settimane e mesi crea confusione sui mercati finanziari e rischia di minare la credibilità non solo di chi si esprime ma anche della stessa Banca centrale. Soprattutto se poi le decisioni, prese magari all’unanimità, vanno nella direzione opposta a quanto discusso pubblicamente.

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