Perché l’omeopatia è il cavallo di Troia dell’anti-scienza

Uno studio dimostra il legame che esiste tra l’uso di prodotti omeopatici e la sfiducia verso la scienza. Non è solo placebo: è il sintomo e il vettore di un pensiero magico che mina il rapporto con la medicina basata sulle prove. E lo stato lo legittima

È un dato di fatto: l’omeopatia non è solo acqua. È un vettore. E quel che trasporta – sotto la superficie delle diluizioni e delle compresse zuccherine – è un set ben definito di tossine cognitive. Lo studio appena pubblicato sulla rivista Public Understanding of Science da Luisa Liekefett e colleghi non è certo il primo a trovare questo risultato, ma lo mostra con particolare chiarezza: attraverso un’analisi statistica su 225 partecipanti, i ricercatori hanno messo a fuoco le categorie mentali che accompagnano l’uso dell’omeopatia, in particolare per condizioni gravi quali il cancro. I risultati mostrano che chi si affida all’omeopatia non solo ha una maggiore probabilità di prendere decisioni rischiose per la propria salute, ma condivide un’attitudine profondamente negativa verso la scienza in generale.

Gli autori hanno identificato quattro gruppi. Il primo, minoritario ma allarmante, è quello dei sostenitori dell’uso esclusivo dell’omeopatia anche in condizioni gravi (9%). Il secondo, molto più numeroso (43%), è composto da persone “aperte” all’uso esclusivo: soggetti che, pur non dichiarando un uso esclusivo attuale, lo considerano plausibile o accettabile. A seguire, il 35% usa l’omeopatia in modo dichiaratamente complementare, mentre solo un 13% mantiene una posizione più cauta, accettandone l’uso solo in aggiunta alla medicina convenzionale, e solo in certi contesti.

È proprio questa fascia intermedia – quella che si rifugia nella narrazione dell’“uso complementare” – che viene spesso citata dai difensori dell’omeopatia per sostenere la sua innocuità dal punto di vista della salute pubblica. Ma lo studio mostra che non è affatto così. I gruppi “aperti” all’uso esclusivo o pienamente favorevoli mostrano in misura significativamente maggiore sfiducia nei confronti delle istituzioni scientifiche, delle evidenze, e del metodo sperimentale. I loro atteggiamenti indicano un’intesa profonda con i tratti cognitivi del pensiero magico e della razionalità intuitiva. La somiglianza è forte anche con profili noti nel contesto dell’esitazione vaccinale e delle credenze complottiste. E questo vale anche per chi dice di usare l’omeopatia solo come supporto.

Ora, è bene essere chiari: correlazione non implica causalità. Lo studio non dimostra che l’omeopatia causi sfiducia nella scienza. Ma proprio per questo l’allarme diventa più serio, non meno. Se le persone che già diffidano della medicina basata sulle prove si aggregano intorno ai “medicinali omeopatici”, allora il loro acquisto e consumo diventa una pratica rafforzativa, una forma di autoconferma. Invece di guidarle fuori dal labirinto delle credenze disfunzionali, il sistema le asseconda, le accoglie, dà loro prodotti con aspetto simile a quelli veri, venduti in farmacia, etichettati con la formula legale “medicinale omeopatico”. Come se bastasse la parola “medicinale” a renderlo parte della medicina, invece che della sua caricatura.

Ma l’altra possibilità, ancora più inquietante e non esclusiva della prima, è che sia anche l’accesso indisturbato a questi prodotti – la loro legittimazione pubblica, istituzionale e commerciale – a educare gradualmente a un rapporto distorto con la scienza. In questa lettura, non è solo la sfiducia pregressa a portare all’omeopatia: è l’omeopatia stessa, come pratica sociale e cognitiva, a generare o rafforzare la disaffezione verso le regole comuni della conoscenza. E qui lo studio lancia un messaggio netto: prima ancora che la comunicazione dei dati e delle prove possa avere un impatto, bisogna affrontare direttamente gli atteggiamenti anti-scientifici. E non si tratta di convincere chi “non sa”. Si tratta di disinnescare una narrazione alternativa già costruita, già interiorizzata, che sostituisce l’argomentazione con l’intuizione e l’esperienza personale con il sapere condiviso.

In ogni caso, vendere l’omeopatia come “integrazione” è una finzione rassicurante, ma pericolosa. Nei fatti, serve da cavallo di Troia per un’intera visione del mondo: emotiva, individualistica, impermeabile al controllo sperimentale. E a forza di concedere spazi a questa visione, di validarla con la dicitura legale “medicinale omeopatico”, di offrirla nello stesso scaffale dei farmaci veri, abbiamo finito per legittimare non solo la pseudoterapia, ma anche l’epistemologia distorta che la sostiene. L’apparato cognitivo che permette a chi l’assume di sentirsi informato mentre rifiuta l’informazione, di sentirsi consapevole mentre rifiuta il principio stesso di falsificabilità.

E c’è di più. In Italia, il “medicinale omeopatico” non solo gode dello status linguistico e commerciale di farmaco, ma è anche detraibile fiscalmente come spesa sanitaria. Significa che lo stato consente al cittadino di scaricare dalle tasse – cioè di trasferire sulla collettività – il costo di un prodotto che né previene, né cura, né migliora alcun esito clinico documentabile. Un prodotto che, nella migliore delle ipotesi, è un placebo venduto a caro prezzo; nella peggiore, è un rinforzo cognitivo al rifiuto delle cure efficaci. Eppure viene trattato, dal punto di vista fiscale, alla stregua dei veri farmaci. Si impone allora una domanda semplice ma inevitabile: può uno Stato serio chiedere alla comunità di sostenere economicamente il costo di un’illusione pericolosa? Può rendersi complice della diffusione di pratiche che, come mostra lo studio di Liekefett et al., non solo non aiutano, ma si accompagnano sistematicamente a una sfiducia generalizzata verso la scienza, i medici e le istituzioni?

Che lo si voglia o no, l’omeopatia è oggi una spia cognitiva: ci indica dove si coagula la sfiducia nella medicina basata sulle prove, dove prende forma il rifiuto delle istituzioni sanitarie, dove germogliano le fantasie di controllo alternativo sul corpo e sulla salute. Continuare a trattarla come fosse una scelta innocua, un placebo accettabile, significa ignorare il suo ruolo reale in un ecosistema che produce e consolida l’analfabetismo scientifico. E, nel farlo, rendere tutti più vulnerabili.

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