Imparare a essere cristiani

Rimane sempre la grande tentazione di dare il potere a Gesù e di escludere la debolezza di Dio. Ma Cristo è venuto a liberarci attraverso la sofferenza, non dalla sofferenza. Un’omelia inedita di Papa Ratzinger

Cari amici, con il suo Battesimo e la proclamazione solenne dell’essere Figlio di Dio, Gesù è entrato formalmente, ufficialmente, nella sua missione di Messia. Il primo compito, impostogli dallo Spirito Santo, è quello di andare nel deserto per essere tentato o, come dice l’orazione di oggi, entrare nel sacramento quadragesimale, nel sacramento dei quaranta giorni.

Nel linguaggio della Chiesa antica, la parola “sacramento” non si riferisce solo ai nostri sette sacramenti, ma è una traduzione della parola “mistero”, indica cioè le strutture essenziali della storia della salvezza e uno degli elementi di queste strutture è il mistero dei quaranta giorni/anni. Israele cammina per quaranta anni nel deserto, in un tempo di speciale vicinanza con Dio, il quale parla con il suo popolo, agisce con il suo popolo, ma è anche un tempo di grandi tentazioni, in cui Israele si ribella a Dio, e non vuole più andare al passo con Dio: è il tempo del primo amore e il tempo delle grandi tentazioni.

Poi, Mosè rimane per quaranta giorni sul Sinai, in alto e solo, lontano dalle cose quotidiane, nell’altezza interiore della montagna di Dio, nel silenzio del mondo: nel grande digiuno può così percepire la Parola di Dio per tutti i tempi. Infine, Elia cammina per quaranta giorni con la forza del pane datogli dall’angelo e, dopo l’apostasia di Israele, deve ritornare di nuovo al monte di Dio e rinnovare l’incontro con Dio.

Gesù stesso entra in questa tradizione della Quaresima, e con Lui la Chiesa ci introduce ogni anno, di nuovo, su questa strada. Occorre dire che, per Gesù, il contenuto di questo tempo è proprio la tentazione, cioè entrare nel dramma dell’esistenza umana. Solo nel deserto, nella solitudine, con tutti i suoi fantasmi, nel bisogno, nella povertà della fame assoluta, nell’essere esposto alle potenze della terra e alla solitudine con Dio, Egli vive il dramma umano, l’essere tentato, cioè trovarsi nella tentazione di scegliere non Dio, ma soluzioni apparentemente migliori, che in realtà sono distruttive. Come si dice nella Lettera agli Ebrei, è parte della missione di Gesù l’entrare nelle nostre tentazioni, l’essere tentato come noi, soltanto che Gesù non cade nel peccato e, proprio così, ci aiuta a superare le tentazioni (cfr. Eb 4,15-16).

Ma quali sono queste tentazioni di Gesù? Direi che sono le tentazioni del Messia, di colui che è il Redentore. La questione che si pone è che cosa deve fare chi vuole essere redentore del mondo. Le risposte che appaiono ovvie all’uomo sono in un certo qual modo le proposte che il diavolo fa a Gesù, sono le grandi tentazioni.

Anzitutto, chi vuole redimere l’uomo deve soprattutto rispondere alla tristezza della fame, alla miseria della povertà; chi non vince questa miseria, chi non dà da mangiare a tutti, chi non dà da vivere in modo degno a tutti, non redime il mondo. Si potrebbe dire: finché c’è la fame, insieme a tutte queste cose tristi che vediamo ogni giorno alla televisione, finché domina questa tangibile miseria sul mondo, l’uomo non è redento.

La seconda proposta di Satana è questa: il Messia deve dare certezza. Come dire: “Caro Dio, se Tu vuoi che ti crediamo, devi essere chiaro, non basta questa nuvola nella quale Tu ti mostri, abbiamo bisogno di chiarezza, di certezza”.

E, con la terza proposta a Gesù, il demonio afferma: devi dare potere al bene, occorre che il bene non sia sempre vinto e distrutto dall’arroganza umana.

Allora, torniamo al primo punto: per poter vedere l’umanità redenta, devi superare la miseria della fame, tutta questa tristezza della povertà. Il diavolo offre questo al Signore. Ma il Signore dice: non è questo il modo della redenzione! E ci fa capire che, anche se tutti gli uomini avessero da mangiare a sufficienza e il benessere fosse diffuso a tutti, l’uomo non sarebbe redento.

Infatti, vediamo come proprio nei Paesi del benessere, negli ambienti del benessere, della ricchezza, dell’abbondanza, l’uomo si distrugge, si autodistrugge. L’uomo, pur avendo sufficientemente da mangiare e da vestire, non è ancora un uomo buono; al contrario, tende all’autodistruzione, perché dimentica Dio e pensa solo alla sua ricchezza. Quindi non si può incominciare così, l’ordine delle priorità dev’essere diverso.

Gesù si è incontrato tre volte con questo problema: qui nelle tentazioni del deserto, poi nella moltiplicazione dei pani, infine nella vera moltiplicazione dei pani, nell’Ultima Cena, nell’istituzione dell’Eucaristia. In questi tre contesti, soprattutto nella moltiplicazione dei pani, Gesù ci dice, o dice ai suoi: “Date voi da mangiare!”.

Questo implica che Dio per primo offre cibo sufficiente per tutti gli uomini: la terra dona cibo per tutti, Dio offre già tutto, ma voi uomini dovete entrare nella cura di Dio, dovete partecipare all’amore di Dio; voi dovete fare parte della rete della bontà, voi dovete dare, e solo in questa corresponsabilità con il Creatore cresce la vera vittoria sul male, sulla miseria, e cresce la redenzione.

Nella moltiplicazione dei pani si deve notare la richiesta di sedersi in gruppi: questo implica l’amore e il coraggio e la disponibilità a condividere, e solo in questa corresponsabilità dell’uomo si realizza il miracolo e viene superata la fame. Questo è dunque un primo aspetto: noi dobbiamo entrare in questa corresponsabilità. E, poi, la condizione perché questo sia possibile è il dono del nuovo pane dal cielo, la vera manna: Gesù Cristo stesso. Dio si dà, tramite Gesù, in cibo a noi, e questo è il cibo di cui fondamentalmente viviamo, ed è proprio questo cibo che trasforma, rinnova, redime il mondo. Quindi il Signore ci invita alla responsabilità, alla condivisione della responsabilità di Dio, e ci dona se stesso, perché poi noi possiamo efficacemente dare un po’ di noi stessi agli altri.

Vediamo che cosa significa questo per la nostra Quaresima, per il nostro vivere il mistero dei quaranta giorni. Il pane di Dio è Cristo stesso, e una prima esigenza è che dobbiamo realmente aprirci a questa grandezza; l’altra condizione è, naturalmente, il digiuno, cioè il dominio di sé, la capacità di rinuncia. Il digiuno è espressione di tutte le religioni, perché tutte ci dicono che, per essere veramente uomo, devo avere una volontà viva, in grado di governare la mia vita; devo essere capace di rinunce, di dominio su me stesso.

Tuttavia, queste rinunce e questa disciplina non sono mai uno scopo in se stesse. Nella tradizione della Chiesa, digiuno ed elemosina, digiuno e carità, digiuno e amore responsabile vanno sempre insieme; il digiuno e la rinuncia sono finalizzati alla corresponsabilità, alla condivisione, all’amore. Questo è un aspetto fondamentale della nostra Quaresima, insieme con la capacità di rinunciare, occorre imparare ad amare con Cristo, a distribuirci insieme a Cristo, che distribuisce se stesso agli uomini.

Secondo punto: la certezza. Lasciandosi cadere nel vuoto Gesù dovrebbe dimostrare che Dio lo protegge assolutamente, e provare con un esperimento che Dio c’è. Ma Dio non accetta proprio questo: Dio non è oggetto dei nostri esperimenti. Nel Salmo 94, in una retrospettiva sul tempo del deserto, Dio dice: “Avete visto le mie opere, ma mi avete voluto mettere alla prova” (v. 9). Possiamo vedere l’azione di Dio, ma non ci basta, così vogliamo fare l’esperimento; Dio dovrebbe sottoporsi al nostro esperimento, dovrebbe andare nel nostro laboratorio per lasciarci verificare se Lui c’è o non c’è.

Ma Dio, mentre realmente si mostra e si fa vedere in tante cose, non accetta di essere oggetto dei nostri esperimenti, di essere sottoposto alle nostre misure e al nostro modo di darci certezza. Questo tipo di certezza, che pretende di controllare Dio, non è possibile, e tutti certamente soffriamo del fatto che rimane sempre come un’ultima “nebbia”. Nell’ora dell’Ultima Cena, l’apostolo Giuda Taddeo ha espresso in modo realmente convincente quanto tutti noi vorremmo dire; ha detto al Signore: “Ma Signore, che cosa è successo, che tu ti sei voluto rivelare solo a noi e non al mondo?” (cfr. Gv 14,22).

Ciò significa: il Risorto non dovrebbe mostrarsi solo a un piccolo gruppo di eletti, ma dovrebbe andare anche da Pilato, dovrebbe andare dai sommi sacerdoti, al Sinedrio e così, con la sua forte presenza, dovrebbe chiarire a tutti che Lui è il Risorto e non lasciare nessun dubbio, dovrebbe vincere proprio con la forza della sua presenza. Quando Taddeo dice: “Che cosa è successo? Non dovresti mostrarti solo a noi, dovresti andare anche dagli altri!”, anche noi siamo tentati di dire lo stesso. Ma Dio è diverso, Dio ci lascia la libertà e ci aspetta in un cammino di ricerca; in questo cammino, ci offre un luogo in cui si fa vedere, così che possiamo essere sicuri. Preghiamo il Signore che ci aiuti a camminare con Lui e, così, a vederlo e ad essere certi.

Qui siamo al secondo punto della nostra Quaresima. Abbiamo parlato di digiuno e carità. Il cammino della preghiera fa parte del mistero della Quaresima. L’orazione della Messa di oggi ci dice che il senso della Quaresima consiste nel capire l’arcano di Cristo, nell’entrare in questo arcano, in questo essere elevato, che è entrare nel suo mistero e conoscerlo veramente, per trovare la giusta certezza. Questo osiamo farlo solo con il cammino della preghiera, con questa permanente relazione con il Signore, che lo cerca e lo trova. San Giovanni Crisostomo dice: “La preghiera in fondo è solo l’esercizio del desiderio di Dio, il desiderio di conoscere il suo volto” (Giovanni Crisostomo, Omelia 6 sulla preghiera). Lasciamoci prendere in questa Quaresima dal desiderio di cercare il suo volto, di pregare: “Signore mostrati!”.


Terza tentazione, il potere: solo se uno ha potere può creare anche un mondo buono
. Questo sembra a tutti molto evidente, ma anche lì Gesù dice: “No!”. E come le altre due tentazioni accompagnano tutta la sua vita, anche questa tentazione appare diverse volte nel corso della sua vita. Pensiamo ad esempio al momento in cui, a Cesarea di Filippo, Pietro aveva capito e confessato: “Tu sei il Messia”.

Gesù lo elogia e gli dice: “Sì, questo non lo hai capito tu, il Padre ti ha dato questa conoscenza”; ma poi continua: “Tu non hai capito ancora che cosa è davvero il Messia; il Messia deve soffrire, essere tradito, dato ai pagani, crocifisso”. Allora san Pietro prende Gesù da parte e gli dice: “Ma no! Tu sei il Messia e un Messia non soffre!”. Qui Gesù si sente proprio come nella situazione del deserto, davanti al diavolo, e dice: “Diavolo, vattene!” (cfr. Mt 16,13-28).

Proprio questa tentazione rimane sempre, anche nella storia della Chiesa. Tante volte con gli imperi cristiani abbiamo tentato di dare il potere a Gesù, di escludere la debolezza di Dio; anche oggi facciamo tanti tentativi in questa linea, e Gesù ci dice: “No! Questo non è il modo in cui io posso essere vostro re. Posso essere vostro re solo in un cammino molto diverso, nel cammino della passione e dell’amore”. In altre parole, Gesù non è venuto a liberarci dalla sofferenza, ma a liberarci attraverso la sofferenza, per entrare in questo mistero della trasformazione, che fa parte dell’essenza dell’amore.

Per noi è molto difficile capirlo: tutti vogliamo che ci sia un mondo senza la tristezza della sofferenza, che Dio ci liberi dalla sofferenza, e non attraverso la sofferenza. Ma il Signore ci dice: “Vieni con me per capire e per entrare nel vero mistero della redenzione, della battaglia contro il male”. Così alla fine, se la cristianità antica ha parlato della ‘Militia Christi’, della guerra in cui dobbiamo militare, possiamo dire: “Sì! E’ la santa guerra dell’amore contro la freddezza del cuore e, solo così, Dio vince”.


Preghiamo che il Signore ci aiuti a entrare nel mistero quaresimale, a divenire davvero cristiani e a imparare la vera redenzione. Amen!


© Dicastero per la Comunicazione – Libreria Editrice Vaticana

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