Il rifiuto di Putin di negoziare con Zelensky e le divisioni interne all’Ue minano la credibilità dell’impegno occidentale per l’Ucraina. Cresce la pressione di agire anche senza gli Stati Uniti
Bruxelles. I leader della coalizione dei volenterosi si trovano di fronte a un altro momento della verità sull’Ucraina, dopo che Vladimir Putin ha rifiutato di incontrare Volodymyr Zelensky e Donald Trump ha detto che nulla sarà risolto fino a quando non si incontrerà con il leader russo. La scommessa europea dell’ultimatum a Putin per costringerlo ad accettare un cessate il fuoco o subire sanzioni massicce in coordinamento con gli americani mette in gioco la credibilità della coalizione. Emmanuel Macron, Keir Starmer, Friedrich Merz e (in misura minore) Donald Tusk sono stati categorici.
Il nuovo cancelliere tedesco, Friedrich Merz, alla sua prima prova sul campo di battaglia ucraino, ha assicurato che saranno adottate sanzioni nel settore dell’energia e in quello finanziario. Merz ieri ha confermato alla Zeit che “presto” saranno prese le decisioni e ha aperto alla possibilità di confiscare gli attivi sovrani russi congelati. “Se c’è un modo per sbloccare quel denaro su una base legale, lo faremo”, ha detto il cancelliere. Il ministro degli Esteri francese, Jean-Noël Barrot, mercoledì ha espresso la volontà di “prendere alla gola” la Russia e “asfissiare una volta per tutte l’economia” russa, perché le attuali sanzioni “non hanno ancora dissuaso Vladimir Putin”. La scadenza inizialmente fissata dalla coalizione dei volenterosi era lunedì a mezzanotte. Poi è stata spostata alla fine di questa settimana per attendere gli incontri in Turchia. Gli europei avranno la capacità e la volontà di procedere anche senza gli Stati Uniti? Se non lo faranno, la loro parola sul loro impegno a favore dell’Ucraina non varrà più nulla. Putin avrà vinto la sua scommessa.
Riuniti ieri ad Antalya per una ministeriale della Nato, diversi ministri degli Esteri dell’Unione europea hanno detto di voler lavorare alle sanzioni con gli americani. Oltre al segretario di stato, Marco Rubio, c’era il senatore Lindsey Graham, firmatario di un disegno di legge per imporre dure misure punitive contro la Russia e i suoi alleati diretti o indiretti. “Con il senatore Graham siamo pronti a incrementare le sanzioni se la Russia continuerà a ostacolare la strada della pace”, ha scritto il francese Jean-Noël Barrot su X. “Tutti sosteniamo lo sforzo degli Stati Uniti per raggiungere un cessate il fuoco e siamo tutti orientati a imporre sanzioni per costringere Putin ad affrontare il tema economico”, ma è “fondamentale il coordinamento Stati Uniti-Unione europea”, ha detto il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Una delle misure del disegno di legge è l’imposizione di un dazio del 500 per cento ai paesi che importano il petrolio russo. In realtà quelle di Lindsey Graham non sono “sanzioni magiche”, spiega al Foglio un diplomatico europeo, scettico sulla buona fede americana. Oltre a essere approvate dal Congresso, le sanzioni dovrebbero essere messe in atto da Trump. Potrebbero volerci mesi. Potrebbe mancare la volontà politica. Trump potrebbe semplicemente cambiare nuovamente campo e allinearsi a Putin. “Nessuno lo sa”, ammette il diplomatico.
L’Unione europea deve poi fare (ancora) i conti con Viktor Orbán. La minaccia di veto del premier ungherese ha depotenziato gli ultimi pacchetti di sanzioni. Ma il problema è più profondo. Da almeno un anno, la Commissione è sempre più prudente nelle sue proposte per punire Mosca e sostenere Kyiv. Non mancano strumenti o idee, né a livello europeo né a livello nazionale. La confisca degli attivi sovrani russi immobilizzati (più di 200 miliardi di euro) è giuridicamente possibile, anche se rischiosa. L’Ue non ha direttamente preso di mira i paesi coinvolti in modo sistematico nell’elusione delle sanzioni, come la Cina, quelli del Golfo o dell’Asia centrale. In teoria, potrebbe vietare le esportazioni di materiali sensibili usati dall’industria bellica russa anche verso di loro. Nella relazione con Pechino, la priorità ucraina ha perso di importanza nel momento in cui la Commissione pensa di riallacciare i rapporti per limitare i danni della guerra commerciale di Trump. La flotta di petroliere fantasma della Russia è composta in parte da vecchie navi vendute dagli armatori greci, ciprioti o maltesi. Centinaia di migliaia di russi entrano nello spazio Schengen grazie ai visti concessi con molta facilità da Italia e Spagna. Alcuni stati membri dell’Ue, come la Polonia, hanno deciso di chiudere i consolati (è accaduto con quello di Cracovia per i sabotaggi dei servizi segreti russi). Ma altri preferiscono nascondere le responsabilità della Russia per non rischiare un’escalation. Gli aiuti militari all’Ucraina da parte dei paesi europei continuano. Ma il piano dell’Alto rappresentante, Kaja Kallas, di stanziare 40 miliardi per riempire il vuoto di armi lasciato dagli Stati Uniti è stato bocciato perché alcuni stati membri dell’Ue, tra cui Francia e Italia, hanno rifiutato di contribuire sulla base del loro pil. Se gli europei non agiranno con forza al rifiuto del cessate il fuoco, “Putin avrà la conferma che erano loro a bluffare e sarà incentivato ad andare fino in fondo nella sua guerra”, avverte il diplomatico.