Così il Pd volta le spalle ai ricercatori (e contraddice se stesso)

I dem presentano alcuni emendamenti per correggere le storture del contratto di ricerca. Ma il responsabile Università del Nazareno: “Prima di discutere eventuali modifiche ci vogliono nuovi fondi”. E l’accesso alle borse europee, per cui von der Leyen ha stanziato 1,2 miliardi di euro, si allontana sempre di più

Per un momento avevano avuto una specie di resipiscenza, capendo che forse, anche se l’hanno introdotto loro, il contratto di ricerca necessita di correttivi, come chiede gran parte della comunità scientifica e accademica italiana. Per questo dal Pd hanno avanzato degli emendamenti al decreto per l’attuazione della Missione 4 del Piano nazionale di ripresa e resilienza, in discussione al Senato. Chiedendo l’introduzione di forme contrattuali più flessibili. L’emendamento, firmato anche dal senatore Francesco Verducci, che mise la sua firma anche sul contratto nazionale, punta a introdurre delle forme più lasche alla norma attualmente in vigore. Per esempio abbassando la durata del contratto minimo a un anno (adesso il minimo è due anni di contratto). Per far fronte alle attività integrative, per fare un altro esempio, viene stabilito che “ai titolari di contratti di ricerca, le università possono conferire a titolo oneroso attività didattica per far fronte a specifiche esigenze integrative”. Con ulteriori aggiunte specifiche secondo cui “i titolari di contratti di ricerca possono svolgere attività didattica nel limite massimo complessivo di 40 ore per anno accademico. Laddove fosse assegnatario anche di attività di tutorato, gli incarichi complessivi non possono superare il limite massimo di 80 ore per anno accademico”. Sono piccoli correttivi rispetto al contratto di ricerca, ma che in qualche modo segnalano la presa di coscienza di un disagio denunciato da decine di accademici, non ultimi quelli che hanno controfirmato una lettera indirizzata alle forze politiche, capitanati dal premio Nobel Giorgio Parisi, per chiedere che si introducano forme contrattuali più flessibili. Visto che il sistema attualmente in vigore sta tagliando fuori i ricercatori italiani dalla partecipazione alle borse europee Marie Sklodowska-Curie Actions, per cui solo ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato finanziamenti per oltre 1,2 miliardi di euro nel 2025.

Ebbene, quest’apertura del Pd, però, è stata sconfessata dallo stesso Pd. O meglio, dal responsabile Università della segreteria Schlein, l’ex deputato Alfredo D’Attorre. Sostenendo la mobilitazione dei ricercatori indetta all’inizio di questa settimana, D’Attorre de facto ha chiuso anche a migliorie nei confronti del contratto di ricerca. “Lo sciopero mette tutti davanti al fatto che la priorità assoluta è affrontare questa situazione dal punto di vista delle risorse, prima di discutere di eventuali miglioramenti e integrazioni del contratto di ricerca”, ha reso noto. E una chiusura, da parte del Pd e delle altre opposizioni, c’è stata anche all’appello lanciato dalla ministra dell’Università Anna Maria Bernini, che al Foglio aveva invitato tutte le forze politiche a uno sforzo di responsabilità per non girare le spalle al mondo accademico che reclama soluzioni tempestive. “I nuovi bandi per oltre 1,25 miliardi di euro nel 2025 nell’ambito delle Marie Sklodowska-Curie Actions annunciati dalla Commissione europea rappresentano una preziosa occasione per i ricercatori europei. Rammarica molto che i ricercatori italiani, come denunciato da tutta la comunità accademica, rischiano di essere esclusi da questa straordinaria opportunità”, hanno fatto sapere a tal proposito ieri fonti del Mur. Ma anche su questo la soluzione del Pd, delineata dallo stesso D’Attorre, insieme alla deputata Piccolotti (Avs) e al responsabile Università del M5s Caso, non è toccare il contratto di ricerca, bensì attraverso “un piccolo emendamento chirurgico alla riforma che nel 2022 ha introdotto il contratto di ricerca”. L’appello rivolto alle opposizioni da parte di Bernini, peraltro, mirava a un coinvolgimento in grado di prevenire eventuali ricorsi di alcuni sindacati, come l’Adi, alla Commissione europea, come già accaduto in passato. Eppure dietro un’iniziale apertura l’ordine del Nazareno sembra essere stato quello di proseguire con l’opposizione a oltranza. Col rischio che ora le paure del mondo accademico diventino sempre più una triste realtà. E che i finanziamenti per le borse europee vadano a tutti, meno che all’Italia.

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  • Luca Roberto
  • Pugliese, ha iniziato facendo vari stage in radio (prima a Controradio Firenze, poi a Radio Rai). Dopo aver studiato alla scuola di giornalismo della Luiss è arrivato al Foglio nel 2019. Si occupa di politica. Scrive anche di tennis, quando capita.

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