Con l’offerta di incontrare Putin in Turchia, il presidente dell’Ucraina smentisce anni di propaganda russa sul significato del suo decreto del 2022
La giornata di oggi a Istanbul potrebbe segnare il primo colloquio diretto tra Ucraina e Russia dopo l’interruzione dei negoziati nei primi mesi successivi all’invasione russa. Di sicuro ci sarà un incontro tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il suo omologo turco Recep Tayyip Erdogan, ma non è ancora chiaro quale sarà la composizione della delegazione russa – il Cremlino non ha dato indicazioni fino all’ultimo – né, soprattutto, se si presenterà Vladimir Putin e, di conseguenza, anche Donald Trump. Ma una cosa è certa: la mossa di Zelensky, che ha rilanciato offrendo la sua disponibilità a tenere colloqui diretti con Putin in Turchia, ha già svelato un pezzo della propaganda russa.
Da qualche anno, infatti, i megafoni del Cremlino sostengono che l’indisponibilità di Zelensky a parlare con Putin sia il principale ostacolo alla pace. E a questo proposito evocano un decreto. Questa realtà parallela che, contrariamente a ogni evidenza, descrive una Russia aperta al dialogo e un’Ucraina ostinatamente contraria a ogni compromesso, ha trovato per tre anni una giustificazione legale in un decreto presidenziale che affermava “l’impossibilità di condurre negoziati con il presidente della Federazione russa V. Putin”. Ecco la prova che Kyiv non vuole negoziare! Ecco la dimostrazione che Zelensky non vuole la pace!
Il decreto risale al 4 ottobre 2022 ed è stato la risposta all’annessione illegale da parte della Russia delle regioni occupate di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson avvenuta a fine settembre 2022. La leadership russa ha più volte evocato questo decreto come dimostrazione della cattiva volontà dell’Ucraina e Putin lo ha citato per affermare che, alla luce di questo divieto, qualsiasi colloquio con Kyiv sarebbe “illegittimo”. E quindi inutile.
La proposta di Zelensky di incontrare Putin mostra quanto fosse falsa quella narrazione, sia dal punto di vista sostanziale della volontà di trattare sia da quello formale del limite legale imposto dal decreto. Come era chiaro già tre anni fa, la chiusura al dialogo con Putin era una risposta all’annessione illegale di un quinto del territorio ucraino: trattandosi di un decreto presidenziale, al mutare delle circostanze politico-militari, al presidente dell’Ucraina basta firmare un nuovo decreto che modifichi il precedente per poter negoziare.
Ma nel caso specifico, probabilmente non c’è bisogno neppure di un nuovo decreto. Basta interpretarlo correttamente. Secondo la Costituzione ucraina, all’articolo 106, il presidente “rappresenta lo stato nelle relazioni internazionali, gestisce l’attività politica estera dello stato, conduce negoziati e conclude trattati internazionali dell’Ucraina”: quindi un decreto del presidente non può sottrargli i poteri che gli vengono attribuiti dalla Carta costituzionale. Se vuole, Zelensky può sedersi al tavolo con Putin. Ma allora che senso ha quel decreto del 2022?
A parte il valore politico di una risposta simbolica all’annessione dei territori occupati, l’obiettivo era quello di impedire – ed eventualmente punire – qualsiasi colloquio non autorizzato con Putin. All’epoca era chiaro il tentativo del Cremlino di sostituire la leadership ucraina o, quantomeno, di esautorarla, magari trovando altri interlocutori tra i filorussi presenti nella politica ucraina. “Ho firmato questo decreto perché Putin ha iniziato molto rapidamente a costruire un gran numero di canali diversi insieme ai separatisti e ai rappresentanti di altri stati per quanto riguarda l’influenza sull’Ucraina, sulla nostra indipendenza – ha spiegato qualche mese fa Zelensky – C’erano molti corridoi di negoziazione ombrosi. Ho fermato il separatismo nel nostro paese. Ho vietato a chiunque, a qualsiasi figura politica in Ucraina, di condurre alcuni negoziati con la parte russa durante la guerra”.
Dal punto di vista formale, è molto più vincolante e di ostacolo alle trattative la decisione di Putin di annettere i territori ucraini occupati. Perché la Costituzione russa, emendata nel 2020 da Putin, prevede il divieto di cedere territorio russo. Secondo il nuovo art. 67, comma 2 (uno dei cosiddetti “emendamenti ideologici”), sono precluse “tutte le azioni (tranne la delimitazione, demarcazione, ri-demarcazione del confine di stato della Federazione russa con gli stati confinanti) finalizzate all’alienazione di una parte del territorio della Federazione russa, nonché gli inviti a tali azioni”. Per giunta, in attuazione di quel nuovo articolo, la Russia ha approvato una legge che punisce come “attività estremista” (fino a 10 anni di carcere) chi vuole cedere parte del territorio russo: la discussione sulla sovranità delle regioni contese potrebbe costare il carcere ai negoziatori russi. L’unico spiraglio costituzionale è l’eccezione sulla “ri-demarcazione” dei confini, prevista all’epoca in ottica della risoluzione della controversia con il Giappone sulle isole Curili.
In ogni caso, Putin è il sovrano assoluto in Russia: a impedire la pace non c’è alcun vincolo legale, ma solo la sua volontà di fare la guerra.