Dal medio oriente il presidente americano torna a Washington con affari importanti, un trattato con i sauditi e buoni contratti sulle armi. Ma anche vaghi annunci pieni di rischi
Il tour mediorientale di Donald Trump si sta concludendo. Dopo la prima tappa in Arabia Saudita, dopo la seconda in Qatar, il capo della Casa Bianca ha proseguito per gli Emirati Arabi Uniti e se non inserirà una deviazione per la Turchia, se ne tornerà negli Stati Uniti. Il presidente americano porta a Washington affari importanti, un trattato con i sauditi, buoni contratti sulle armi. In concomitanza con il suo arrivo, anche Hamas ha accettato di liberare un ostaggio, il soldato Edan Alexander: probabilmente il gruppo di Gaza era contento di poter usare la liberazione per scavare ancora un po’ più in profondità nei dissidi interni alla società israeliana. Trump ha detto che gli Stati Uniti renderanno la Striscia una zona di pace e Hamas deve accettarlo. Sicuramente dietro le quinte si è detto molto, ma la situazione in medio oriente appare identica a prima che il capo della Casa Bianca arrivasse.
Tra le discussioni a porte chiuse, soprattutto in Arabia Saudita e Qatar, non è mancata la questione del progetto nucleare iraniano. Trump ha detto che Teheran è una fonte di destabilizzazione, ma adesso dal regime della Repubblica islamica vuole un accordo ed è convinto di essere arrivato molto vicino. Gli Stati Uniti hanno consegnato agli iraniani una proposta di patto, alla quale gli iraniani dovrebbero rispondere a breve, anche se il regime ha smentito. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, aveva consegnato all’inviato di Trump, Steve Witkoff, un documento con una proposta sul futuro del progetto nucleare. Non si sa se Witkoff per avanzare l’offerta americana abbia lavorato sul documento iraniano o se abbia formulato idee completamente nuove, fatto sta che la celerità tanto di Teheran quanto di Washington indica che tutti credono sia questo il momento: l’accordo o si fa o salta. Per l’Iran un Trump desideroso di patti a ogni costo è un’occasione su cui lucrare ai danni di Israele. Per gli Stati Uniti un regime infiacchito dai problemi economici è la controparte giusta con cui trattare. Il rischio sta tutto nella fretta.